Maria “non compariva nelle reti sociali dell’epoca, non era una influencer, però senza volerlo né cercarlo è diventata la donna che ha avuto la maggiore influenza nella storia”. A farlo notare è stato il Papa, durante la Veglia con i giovani di Panama, riuniti in centinaia di migliaia nel Campo San Juan Pablo II del Metro Park. Maria, la “influencer” di Dio, la definizione di Francesco: “Con poche parole ha saputo dire ‘sì’ e confidare nell’amore e nelle promesse di Dio, unica forza capace di fare nuove tutte le cose”. “Sempre impressiona la forza del ‘sì’ di questa giovane, di quell’‘avvenga per me’ che disse all’angelo”, il commento del Papa: “È stata una cosa diversa da un’accettazione passiva o rassegnata, o da un ‘sì’ come a dire: ‘Bene, proviamo a vedere che succede’. È stato qualcosa di più, qualcosa di diverso. È stato il ‘sì’ di chi vuole coinvolgersi e rischiare, di chi vuole scommettere tutto, senza altra garanzia che la certezza di sapere di essere portatrice di una promessa”. “Vi sentite portatori di una promessa? Che promessa ho nel cuore da realizzare?”, le domande a braccio ai giovani: “Maria Avrebbe avuto, senza dubbio, una missione difficile, ma le difficoltà non erano un motivo per dire ‘no’. Avrebbe avuto complicazioni, certamente, ma non sarebbero state le stesse complicazioni che si verificano quando la viltà ci paralizza per il fatto che non abbiamo tutto chiaro o assicurato in anticipo. Il ‘sì’ e il desiderio di servire sono stati più forti dei dubbi e delle difficoltà”. “La vita che Gesù ci dona è una storia d’amore, una storia di vita che desidera mescolarsi con la nostra e mettere radici nella terra di ognuno”, ha esordito Francesco: “Quella vita non è una salvezza appesa ‘nella nuvola’ in attesa di venire scaricata, né una nuova ‘applicazione’ da scoprire o un esercizio mentale frutto di tecniche di crescita personale. Neppure un tutorial con cui apprendere l’ultima novità. La salvezza che il Signore ci dona è un invito a partecipare a una storia d’amore che si intreccia con le nostre storie; che vive e vuole nascere tra noi perché possiamo dare frutto lì dove siamo, come siamo e con chi siamo. Lì viene il Signore a piantare e a piantarsi; è Lui il primo nel dire ‘sì’ alla nostra vita, alla nostra storia, e desidera che anche noi diciamo ‘sì’ insieme a Lui. Così sorprese Maria e la invitò a far parte di questa storia d’amore”.
“Dire ‘sì’ al Signore significa avere il coraggio di abbracciare la vita come viene, con tutta la sua fragilità e piccolezza e molte volte persino con tutte le sue contraddizioni e mancanze di senso”. Lo ha spiegato il Papa, sulla scorta di una delle tre testimonianze ascoltate poco prima: quella di Erika e Rogelio, che hanno raccontato come hanno scelto di mettere al mondo Ines, la loro figlia disabile. “Significa abbracciare la nostra patria, le nostre famiglie, i nostri amici così come sono, anche con le loro fragilità e piccolezze”, ha spiegato Francesco. “Davanti alla vita di vostra figlia fragile, indifesa e bisognosa la vostra risposta è stata un ‘sì’, e così abbiamo Ines”, l’omaggio ai due genitori: “Voi avete avuto il coraggio di credere che il mondo non è soltanto per i forti!”. “Abbracciare la vita si manifesta anche quando diamo il benvenuto a tutto ciò che non è perfetto, puro o distillato, ma non per questo è meno degno di amore”, la tesi del Papa: “Forse che qualcuno per il fatto di essere disabile o fragile non è degno d’amore? Qualcuno per il fatto di essere straniero, di avere sbagliato, di essere malato o in una prigione non è degno d’amore? Così ha fatto Gesù: abbracciò il lebbroso, il cieco e il paralitico, abbracciò il fariseo e il peccatore. Abbracciò il ladro sulla croce e abbracciò e perdonò persino quelli che lo stavano crocifiggendo. Perché? Perché solo quello che si ama può essere salvato. Solo quello che si abbraccia può essere trasformato. L’amore del Signore è più grande di tutte le nostre contraddizioni, fragilità e meschinità, però è precisamente attraverso le nostre contraddizioni, fragilità e meschinità che Lui vuole scrivere questa storia d’amore. Ha abbracciato il figlio prodigo, ha abbracciato Pietro dopo i suoi rinnegamenti e ci abbraccia sempre, sempre, dopo le nostre cadute aiutandoci ad alzarci e a rimetterci in piedi. Perché la vera caduta, quella che può rovinarci la vita, è rimanere a terra e non lasciarsi aiutare”. “Nell’arte dell’ascesa la vittoria non è nel non cadere, ma nel non rimanere caduti”, ha detto a braccio il Papa citando un canto degli alpini.
“Senza lavoro, senza istruzione, senza comunità, senza famiglia”: sono i quattro “senza” che “uccidono”. Lo ha detto il Papa, rispondendo alla domanda di Alfredo, ex tossicodipendente, durante la Veglia al Campo Juan Pablo II del Metro Park. “È impossibile che uno cresca se non ha radici forti che aiutino a stare bene in piedi e attaccato alla terra”, ha fatto notare Francesco: “È facile disperdersi quando non si ha dove sostenerci. Questa è una domanda che noi anziani siamo tenuti a farci, anzi, è una domanda che voi dovreste farci e noi avremmo il dovere di rispondervi: quali radici vi stiamo dando, quali basi per costruirvi come persone vi stiamo offrendo?”. “Com’è facile criticare i giovani e passare il tempo mormorando, se li priviamo di opportunità lavorative, educative e comunitarie a cui aggrapparsi e sognare il futuro!”, ha esclamato il Papa: “Senza istruzione è difficile sognare il futuro; senza lavoro è molto difficile sognare il futuro; senza famiglia e comunità è quasi impossibile sognare il futuro”. “Perché sognare il futuro significa imparare a rispondere non solo perché vivo, ma per chi vivo, per chi vale la pena di spendere la vita”, ha spiegato Francesco: “Come ci diceva Alfredo, quando uno si sgancia e rimane senza lavoro, senza istruzione, senza comunità e senza famiglia, alla fine della giornata ci si sente vuoti e si finisce per colmare quel vuoto con qualunque cosa. Perché ormai non sappiamo per chi vivere, lottare e amare”. “Che cosa fai tu per generare voglia di futuro nei giovani di oggi? sei capace di lottare perché abbiano istruzione, perché abbiano lavoro, perché abbiano una famiglia, perché abbiano una comunità?”, le domande rivolte a braccio agli anziani, affinché rispondano nel loro cuore. “Poi il Papa ha citato una domanda rivoltagli da un giovane: Padre, perché oggi tanti giovani non si domandano se Dio esiste o fanno fatica a credere in Lui ed evitano di impegnarsi nella vita?”. Francesco, a sua volta, ha rivolto la domanda ad altri giovani, dicendosi colpito da una delle risposte venute fuori da loro: “È che molti di loro sentono che, a poco a poco, per gli altri hanno smesso di esistere, si sentono molte volte invisibili”. “È la cultura dell’abbandono e della mancanza di considerazione”, il commento del Papa: “Non dico tutti, ma molti sentono di non avere tanto o nulla da dare perché non hanno spazi reali a partire dai quali sentirsi interpellati. Come penseranno che Dio esiste se loro da tempo hanno smesso di esistere per i loro fratelli e per la società? E così li stiamo spingendo a non guardare al futuro e a divenire preda di qualsiasi droga che li distrugge”.
“Non basta stare tutto il giorno connessi per sentirsi riconosciuti e amati. Sentirsi considerato e invitato a qualcosa è più grande che stare nella rete”. Nel discorso pronunciato durante la Veglia al Metro Park, il Papa è tornato sul primato della vita reale su quella virtuale, tema presente già nel suo primo discorso a Panama. “Significa trovare spazi in cui con le vostre mani, con il vostro cuore e con la vostra testa potete sentirvi parte di una comunità più grande che ha bisogno di voi e di cui anche voi avete bisogno”, ha spiegato alla distesa sterminata di giovani che lo hanno atteso fin dalle prime ore del mattino per il terzo abbraccio tra i giovani e il successore di Pietro. “Questo i santi l’hanno capito molto bene”, ha fatto notare Bergoglio, citando l’esempio di don Bosco, “che non se ne andò a cercare i giovani in qualche posto lontano o speciale, ma imparò a vedere tutto quello che accadeva nella città con gli occhi di Dio e, così, fu colpito da centinaia di bambini e giovani abbandonati senza scuola, senza lavoro e senza la mano amica di una comunità. Molta gente viveva in quella stessa città, e molti criticavano quei giovani, però non sapevano guardarli con gli occhi di Dio. Don Bosco lo fece e seppe fare il primo passo: abbracciare la vita come si presenta; e, a partire da lì, non ebbe paura di fare il secondo: creare con loro una comunità, una famiglia in cui con lavoro e studio si sentissero amati. Dare loro radici a cui aggrapparsi per poter arrivare al cielo, per poter essere qualcuno nella società”. “Questo hanno fatto i santi: hanno avuto il coraggio di guardare i giovani con gli occhi di Dio”, il commento a braccio. “Penso a tanti luoghi della nostra America Latina che promuovono quello che chiamano famiglia grande casa di Cristo che, col medesimo spirito della Fondazione Giovanni Paolo II e di tanti altri centri, cercano di accogliere la vita come viene nella sua totalità e complessità, perché sanno che ‘per l’albero c’è sempre una speranza’”, l’omaggio del Papa al suo continente: “‘Se viene tagliato, ancora si rinnova, e i suoi germogli non cessano di crescere’. E sempre si può ‘rinnovarsi e germogliare’, si può sempre ricominciare, quando c’è una comunità, il calore di una casa dove mettere radici, che offre la fiducia necessaria e prepara il cuore a scoprire un nuovo orizzonte: orizzonte di figlio amato, cercato, trovato e donato per una missione. Il Signore si fa presente per mezzo di volti concreti”. “Dire ‘sì’ a questa storia d’amore è dire ‘sì’ ad essere strumenti per costruire, nei nostri quartieri, comunità ecclesiali capaci di percorrere le strade della città, di abbracciare e tessere nuove relazioni”, la ricetta di Francesco.