Siamo in un luogo molto caro a tutti i Comaschi. La basilica del Crocifisso è un punto di riferimento prezioso, da antica tradizione, anche per tanti appuntamenti cittadini che si succedono lungo l’anno. Il santuario, inoltre, ha una risonanza che va al di là della nostra città e dei confini della diocesi: la devozione al Crocifisso miracoloso richiama qui, da ogni parte, vari pellegrinaggi, almeno prima della pandemia.
Questa mattina, però, l’attenzione si concentra in modo particolare su di voi, membri che fate parte della comunità parrocchiale dell’Annunciata, animata dai Padri Somaschi, a cui è affidata, anche il santuario.
Vogliamo sostare insieme questa mattina per pregustare e condividere la luce della Pasqua mediante il vangelo della Trasfigurazione, appena proclamato.
Anche coloro che ci seguono, mediante la televisione e il canale streaming, possono sentirsi avvolti dalla luce sfolgorante della Trasfigurazione di Gesù, che conforta e rassicura i suoi discepoli.
Essi vengono così preparati ai futuri dolorosi avvenimenti che attendono il loro Maestro, ma anche alla certezza consolante della vittoria della croce, pienamente rivelata nella risurrezione, che qui in questo episodio di trasfigurazione viene anticipata.
Possiamo facilmente immaginare la reazione di sconcerto dei discepoli di Gesù all’udire che il loro Maestro è il Servo sofferente, di cui le Scritture hanno già delineato la fisionomia nel primo Testamento. Egli dovrà affrontare la morte per opera dei suoi oppositori, una morte che in seguito sfocerà in una piena fioritura di vita mediante la gloriosa risurrezione.
Come i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, anche noi spesse volte restiamo perplessi e incapaci di comprendere l’agire di Dio nella nostra vita e in quella del mondo in cui viviamo. Vorremmo che Dio usasse metodi più sbrigativi, umanamente efficaci, senza dover accettare la pazienza dei tempi lunghi e apparentemente vuoti, spesso rifiutando come una sconfitta la sofferenze e le umiliazioni a cui non siamo sottratti.
Proprio per questa incapacità di entrare nel misterioso, quanto inaspettato e oscuro disegno di Dio, Gesù conduce in disparte, i suoi tre discepoli, come è ricordato nel capitolo precedente del vangelo di Marco. Sul monte, che la tradizione identifica nel Tabor, pieni di stupore, Pietro, Giacomo e Giovanni ammirano il loro Maestro risplendere di una luce incandescente, che abbaglia i loro occhi e li conquista.
Gesù è rivestito di un vivo splendore che affascina, e risplende di bellezza. E’ un tripudio di luce.
Circondato da due personaggi tra i più noti e autorevoli del popolo di Dio, Mosè ed Elia, “i grandi veggenti” dell’antica alleanza, conversano con lui, confermandogli la strada che Gesù ha scelto di percorrere, ossia il cammino oscuro della croce, mediante la sofferenza, segno di grande amore per gli uomini e di fedeltà nei confronti del Padre, che sfocia poi nella vittoria della croce.
Avvolti da una nube, i discepoli odono con sorpresa la voce del Padre stesso, che presenta Gesù e li conferma: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!” Si tratta qui di una rivelazione trinitaria: c’è la voce del Padre che parla ai discepoli, come già al Battesimo di Gesù, ma c’è anche la presenza dello Spirito Santo, simboleggiata dalla nube luminosa.
I discepoli sono fuori di sé, ammirati e commossi per la grandezza della inattesa rivelazione. I tre discepoli sono così stati invitati a fidarsi di Gesù, vivendo come lui una relazione filiale col Padre.
E’ comprensibile la reazione di Pietro, meravigliato e sconvolto da questa splendida esperienza di luce, che esclama: “Rabbì, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè, e una per Elia”. I discepoli vorrebbero fermare la bellezza di cui hanno fatto esperienza. Essa, però, non è mai un possesso, ma un dono che va comunicato e non trattenuto.
Gesù invita i suoi amici a scendere dal monte, a intraprendere la vita ordinaria e a condividere il viaggio che porterà il Figlio dell’uomo a Gerusalemme per la crocifissione. Sono invitati anche a camminare con lui, ossia a condividere il cammino della croce, scegliendo anch’essi di fare della loro vita un dono.
Ed ecco allora una domanda: “Quanta incidenza hanno in noi le esperienze belle che il Signore dona a ciascuno di noi in certe occasioni e quanto restano impresse nella memoria del cuore, così che il loro ricordo ci permetta di avanzare anche nei tempi difficili della vita, senza cercare ulteriori conferme?
Se abbiamo vissuto una esperienza di bellezza, questa ci deve bastare per camminare lieti alla luce del Signore, per essere e mostrarci, anche noi, testimoni della luce.