La Quaresima, nella quale ci introduciamo questa sera, interpreta bene il clima comune che respiriamo in questi giorni a causa della guerra in Ucraina, è il contesto favorevole per affrontare e vivere nella fede questi giorni. Attraversiamo un tempo di paura e di forte preoccupazione, che ci lascia sgomenti per le notizie che giungono di ora in ora, per i combattimenti e le uccisioni che sembrano acutizzarsi in Ucraina, invece di diminuire, nonostante timidi tentativi di dialogo tra le parti.
Una preghiera corale, in tutto il mondo, si innalza al Dio della vita che vince le guerre, che piega la durezza dei cuori e che invita ogni uomo alla riconciliazione e alla pace. E’ la preghiera che risponde all’invito di papa Francesco che ha chiesto preghiera e digiuno per questa giornata.
Questo clima comune di forte dolore per il popolo ucraino e per il popolo russo, che entrambi soffrono in questa situazione, va letto e interpretato ancora alla luce della fede: questa dolorosa tragedia dell’umanità è una prova medicinale che può essere utilizzata in vista della nostra conversione.
Stavamo uscendo dalla pandemia da covid 19 ed ecco che ora piombiamo nella guerra: un danno dopo l’altro! E ci domandiamo: avremo saputo trarre qualche insegnamento dalla esperienza della pandemia? E’ proprio vero che ne siamo usciti migliori? Non sarebbe stata forse questa terribile prova una occasione per tornare a Dio, quindi per convertirci? Per crescere nella confidenza in Lui, che solo può salvarci dal male, dal peccato e dalla morte?
E ora è sopraggiunta anche la guerra, con il pericolo che si estenda ulteriormente, coinvolgendo nazioni e popoli. Una realtà paradossale, che sembrava del tutto estranea alle nostre previsioni. Il cuore dell’uomo fa fatica a convertirsi, anzi, non è cambiato: è la logica del più forte, che per affermare la sua egemonia e le sue pretese usa qualunque mezzo: fa prevalere la forza, le armi, i missili, i carri armati, ecc., con centinaia di migliaia in fuga dalla guerra. Si stanno provocando danni inimmaginabili e causando profonde ferite interiori, difficili da curare e sanare nei prossimi anni.
Come cristiani stiamo mostrando una bella e sincera vicinanza con il popolo ucraino. Ci prepariamo anche ad accogliere i numerosi profughi che a breve arriveranno da noi. Alcune persone hanno offerto alla Caritas la disponibilità all’accoglienza presso le loro abitazioni. La preghiera di ieri sera in cattedrale è stata seguita da molte altre persone in tutta la diocesi.
Abbiamo una sola potente arma da offrire, quella della preghiera, unita al digiuno. Si moltiplicano ovunque gli inviti per innalzare preghiere per la pace tra i popoli. Credo che le persone, in questa situazione così sofferta, si facciano più attente, più pensose così da rivalutare la preghiera come una indispensabile energia di vita e di speranza, in un momento in cui non si vedono altri sbocchi umani immediati.
La preghiera che rivolgiamo al Signore, tuttavia, per essere autentica e vera, ha bisogno di un altro supporto: che anche noi ci impegniamo coraggiosamente a costruire la pace e a promuoverla in prima persona.
Pace in noi stessi, innanzitutto, ma poi pace con chi ci vive accanto, con i nostri vicini, con i nostri colleghi di lavoro, con quanti ci infastidiscono o sono molto diversi da noi, addirittura pace anche con coloro che ci sono ostili.
La lingua può ferire le persone molto più che una spada, può essere uno strumento di morte, anziché di comunione. Uomini e donne di pace sono necessarie per creare gli anticorpi della solidarietà, del rispetto della vita di tutti, dell’attenzione ai piccoli, ai poveri, ai senza dimora.
Cristo si è offerto sulla croce per fare di noi un solo popolo nuovo, redento dal suo sangue, per poter creare cieli nuovi e terra nuova. Ha bisogno di noi per realizzarli!