Veglia pasquale

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Abbiamo incominciato al buio questa notte di veglia.

Il buio interpreta e riassume la nostra fragile e inquieta condizione umana, ma nello stesso tempo richiama anche l’anelito della nostra umanità, che vorrebbe uscir fuori dalle funeree condizioni di morte, di lutto, di incertezza e di dolore, dalla straziante soggezione del male, di cui siamo sazi e che deprime l’animo di tutti.

Ed ecco il Vivente Signore, Cristo risorto, che irrompe dentro il buio delle nostre notti e le trasfigura. Solo Lui riesce a liberarci dalle nostre condizioni più oscure e ci dona la possibilità di una vita nuova, splendente di luce, di gioia e di pace.

Il cero pasquale è avanzato lungo la navata proprio per indicare l’irruzione di Dio, che interviene a salvare l’uomo dentro la sua storia peccaminosa mediante la morte e la risurrezione di Cristo.

Egli ha spalancato le barriere della morte, ci ha risvegliato dal sonno funereo e ci ha schiuso le porte della vita. Egli ha detto: “Voglio che abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza“.

La storia del popolo di Dio, proclamata in alcuni passi delle sante Scritture, testimoniano la forza liberatrice di Dio che interviene sempre a salvare il suo popolo, fin dalla sua elezione e massimamente nella morte e risurrezione di Cristo.

Le letture dell’antico testamento vanno interpretate già alla luce del Mistero pasquale, di cui il Battesimo è il segno efficace dell’offerta di salvezza che Dio regala ad ogni uomo.

Il vangelo della risurrezione, nella versione dell’evangelista Matteo, testimonia la paura e lo sgomento delle donne che per prime incontrano il Signore risorto, un avvenimento sconvolgente, del tutto inaspettato, al di là di ogni immaginazione. Davanti a una tomba, le donne sentono parlare di vita. Poi incontrano Gesù, l’autore della speranza. Immette nel loro cuore la certezza che Dio sa volgere tutto al bene, perché persino dalla tomba fa uscire la vita. Il Crocifisso risorto si rivela ad esse perché, a loro volta, sia pure nella fragilità, ma con un ruolo decisivo, possano essere le appostole degli Apostoli.

Diamo il benvenuto nella nostra famiglia cristiana a questi nostri amici che stanno per ricevere i sacramenti della iniziazione cristiana. Il Battesimo, dono pasquale che ci rende figli del Padre e fratelli tra di noi, la Cresima, attraverso cui, mediante lo Spirito santo, saranno in grado di annunciare Gesù e infine l’Eucaristia, che li renderà parte del corpo di Cristo e che è farmaco di immortalità.

E noi, che rinnoveremo con essi gli impegni del nostro Battesimo, siamo invitati dal Signore a tornare nella nostra Galilea, come è stato suggerito ai primi Apostoli. Ciascuno di noi, infatti, ha la sua Galilea, dove rileggere la propria esperienza cristiana, riscoprire il Battesimo, riconoscere i segni di salvezza sperimentati nella storia personale, dentro una comunità cristiana, e ritrovare le motivazioni per l’impegno nel dono che ciascuno può fare della propria vita. Tornare in Galilea significa ricuperare la memoria di quel momento in cui gli occhi di Gesù si sono incrociati con i nostri, momento in cui abbiamo sentito che Egli ci amava.

Custodiamo gelosamente la gioia del cuore per l’incontro con il Signore che personalmente intrattiene con ciascuno di noi. Solo la gioia ci rende testimoni credibili ed efficaci diffusori di novità evangelica. Solo la gioia ci fa sperimentare la consolazione e la pace, nella certezza di essere figli amati e custoditi con ogni premura dall’amore del Padre, servitori poveri e pacifici del Dio crocifisso, che fonda la libertà delle persone.

Oscar card. Cantoni

 

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