22 aprile 2018 - Como

Intervento all’Assemblea diocesana di Azione Cattolica

Intervento di Mons. Oscar Cantoni all’Assemblea Diocesana di Azione Cattolica (Como, 22 aprile 2018)

 

Una generazione narra all’altra le tue opere”

(Salmo 144,4)

  1. Vi vedo numerosi, persone di tutte le età: questa è l’immagine bella e reale della Chiesa, una famiglia unita e compatta, con uomini e donne di tutte le età e condizioni, lungo la nostra vasta diocesi. Questa è la caratteristica dell’Azione Cattolica: quella di essere una associazione di popolo, non di elite.
  2. Nelle riflessioni che avete maturato è emerso il valore indispensabile, la necessità assoluta, del dialogo tra generazioni, per poter costruire relazioni buone, positive, per poter favorire una comunicazione che fa crescere e promuove le singole persone: in famiglia, tra amici, in associazione, e così vivere insieme, gli uni sostenuti dalla esperienza degli altri, nella convinzione che tutti siamo bisognosi di ricevere e che tutti abbiamo qualcosa da offrire.  Non mancano, purtroppo, i casi in cui più persone vivono insieme, ma sembra che provengano da mondi culturali diversi: nascono allora le incomprensioni e da qui rigidità, conflitti, tensioni, sospetti.  Quindi  si è incapaci di relazioni vere. Si vive da “separati in casa”, in mondi estranei!
  3. Vorrei concentrare la mia riflessione a partire dal versetto del Salmo citato: “Una generazione narra all’altra le tue opere”. In quanto battezzati, quindi tutti discepoli-missionari, ciascuno con la propria storia, segnati dal proprio tempo, dalle proprie fragilità e debolezze, ma anche dalla ricchezza delle prorie esperienze e dei doni ricevuti, come riuscire a realizzare l’abbraccio tra generazioni diverse e a trasmettere la fede, a partire dai membri di una stessa famiglia, nelle associazioni, in parrocchia (ciascuno con i propri linguaggi)?  E come annunciare Cristo agli uomini di oggi, negli ambienti di vita molto differenti tra loro, spesso secolarizzati, frequentati da ciascuno, in cui il  Signore è ritenuto un estraneo, e anche inutile?
  4. Una precisazione necessaria: evangelizzare non è trasmettere una dottrina (la dottrina cristiana), “una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere” (EG 35), ma annunciare una vita, trasmettere una vita agli altri, comunicare la gioia: quella di essere figli amati e preziosi da Dio, chiamati a vivere da figli di Dio nel Figlio Gesù e da fratelli tra noi. Evangelizzare significa testimoniare la gioia di una vita trasformata dall’incontro con Cristo e il suo Vangelo: e questo a tutte le età. Condizione essenziale (che vale per tutti e a tutte le età): Chi annuncia il Vangelo deve essere una persona piena di gioia (una gioia attraente, così che gli altri si domandino: perché questa persona è così contenta?).  “Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo” (Paolo VI in Evangelii nuntiandi).
  5. Il cammino della fede non è un sentiero per uomini solitari: tutti siamo debitori gli uni degli altri, anche nella fede. Il Battesimo, che è la porta di ingresso della vita cristiana, è un dono trasmesso della comunità cristiana. La fede ci viene donata da Dio mediante i fratelli e le sorelle che vivono già dentro la comunità cristiana, quindi attraverso degli intermediari. La lettera agli Ebrei parla di una moltitudine di testimoni (Ebr 12,1), persone che per noi in particolare hanno inciso in modo speciale per far germogliare la nostra gioia credente e ci hanno accompagnato lungo i tempi successivi della vita, persone di tutte le età e vocazioni. La lettera agli Ebrei invita a ricordare i sacerdoti educatori del popolo di Dio, ma non solo loro esclusivamente. “Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la Parola di Dio” (Ebr 13,7). A volte si tratta di persone semplici e vicine, che ci hanno iniziato alla vita di fede: “Mi ricordo della tua schietta fede, che ebbero anche tua nonna Loide e tua madre Eunìce” (2Tim 1,5).
  6. Per riuscire a trasmettere la fede è necessario crescere nella cultura dell’incontro, mediante l’esercizio dell’ascolto. Siamo sempre di fretta, abbiamo poco tempo per fermarci, per condividere, per ricordare, per sognare insieme, per festeggiare. A volte ci chiudiamo in noi stessi fantasticando e sognando comode evasioni e così tralasciamo di ascoltarci l’un l’altro, dando per scontato tante cose. A volte non ci rendiamo conto che le persone che abbiamo di fronte non le conosciamo davvero nel profondo. E’ doveroso riconoscere i valori degli altri, credere che in essi c’è molto di positivo, nello stesso tempo comprendere le preoccupazioni soggiacenti alle loro richieste. Chi ascolta deve avere la capacità di identificarsi con l’altro. Il dialogo educa quando la persona si relaziona con rispetto e stima, si esprime con autenticità, senza offuscare o mitigare la propria identità. Abbiamo bisogno di tempo da consacrare all’ascolto gli uni gli altri e completarci nella recezione parziale della realtà e del Vangelo.
  7. Per trasmettere la fede ricevuta occorre saper “ricordare” ciò che il Signore ha fatto in noi, lungo il cammino della nostra vita, e continua a compiere, perché è fedele, non dimenticare le pagine della nostra storia personale, sempre feconda, intrecciata con la storia delle nostre comunità di fede. “Ricordati di tutto il cammino che il  Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto” (Deut 8  ). Ricordare significa “fare memoria grata”: non è un compito riservato alla fine della vita, ma strada facendo. Riconoscere che siamo stati raggiunti dalla misericordia di Dio e quindi, dopo averla personalmente sperimentata, vivere un desiderio inesauribile di offrire misericordia. “Testimoni e annunciatori della misericordia di Dio” (è il titolo del Sinodo che la nostra Chiesa di Como si appresta a celebrare e in cui l’Azione Cattolica sarà molto coinvolta).
  8. La fede cresce e si rafforza donandola”: questa certezza genera il desiderio di comunicare/trasmettere la fede a qualunque età e in qualunque situazione di vita. Utilizzare i momenti e in tutte le occasioni per donare, trasmettere la fede, in modo che, come frutto, la nostra stessa fede personale si rafforzi, si radichi più profondamente in noi e dilati gli spazi della sua presenza attraverso un carità operosa. Responsabili della fede sono innanzitutto gli adulti, a partire dai genitori che chiedono il Battesimo per i loro figli, sostenuti dalla comunità cristiana. “Il padre farà conoscere ai figli la tua fedeltà” (Is 38,19). Gli adulti nella comunità cristiana trasmettono esistenzialmente la fede, che non è innanzitutto un codice etico, ma uno “stile di vita nuovo”, generato dalla vita nuova del Battesimo, valori evangelici che rendono la vita bella e la mostrano attraverso un testimonianza personale coerente.  “Noi con il Battesimo, veniamo immersi in quella sorgente inesauribile di vita che è la morte di Gesù, il più grande atto d’ amore di tutta la storia; e grazie a questo amore possiamo vivere una vita nuova, non più in balia del male, del peccato e della morte, ma nella comunione con Dio e i fratelli” (Papa Francesco). I figli “assorbono” dai genitori, come il latte materno, con naturalezza, la proposta cristiana, che è fatta di fiducia in Dio e di apertura agli altri. “La trasmissione della fede presuppone che i genitori vivano l’esperienza reale di avere fiducia in Dio, di cercarlo, di averne bisogno” (AL 287).  I figli avranno poi il tempo per approfondirla e renderla una scelta personale, magari anche a prezzo di una lotta critica.
  9. Trasmettere la fede, ma anche contemporaneamente imparare a riceverla. I ragazzi e i giovani non solo ricevono la fede dal mondo degli adulti , ma anche sono già in grado di offrire testimonianze di fede degne di essere raccontate, cioè accolte, certo, con linguaggi e segni a cui gli adulti non sono abituati e sulle prime, a volte, rimangono perplessi e disorientati. I giovani devono essere ascoltati e presi sul serio. Se si sentono accolti e ascoltati, allora, lasciano emergere la ricchezza che è nei loro cuori. I giovani hanno bisogno di trovare modelli attraenti, coerenti e autentici, testimoni in grado di esprimere con passione la loro fede e la loro relazione con Gesù e nello stesso tempo di incoraggiare altri ad avvicinarsi, incontrare e innamorarsi a loro volta di Gesù. Hanno bisogno di spiegazioni razionali e critiche su questioni complesse: le risposte semplicistiche non sono più sufficienti! I ragazzi e i giovani annunciano  agli adulti la bellezza e la verità della vita cristiana attraverso gesti disarmanti, atti di bontà e di generosità che scuotono gli adulti stessi, scelte di servizio che commuovono. Certo, occorre comprendere i loro nuovi linguaggi  e permettere loro che vengano incontro agli adulti con i mezzi di comunicazione che sono loro più congeniali.
  • Concludo sottolineando l’influsso dei nonni nella vita di fede dei loro nipoti, molto incisivo e spesso determinante. I nonni sono un dono prezioso e insostituibile per la trasmissione della fede dei loro nipoti. Molti giovani mi confidano di aver imparato le preghiere dai loro nonni, a partire dal segno della croce. Papa Francesco, in un discorso sui nonni, così si esprime: “Noi possiamo intercedere per le attese delle nuove generazioni e dare dignità alla memoria e ai sacrifici di quelle passate. Noi possiamo ricordare ai giovani ambiziosi che una vita senza amore è una vita arida. Possiamo dire ai giovani paurosi che l’angoscia del futuro può essere vinta. Possiamo insegnare ai giovani troppo innamorati di se stessi che c’è più gioia nel dare che nel ricevere. I nonni e le nonne formano la “corale” permanente di un grande santuario spirituale, dove la preghiera di supplica e il canto di lode sostengono la comunità che lavora e lotta nel campo della vita. Le parole dei nonni hanno qualcosa di speciale, per i giovani. E loro lo sanno. Le parole che la mia nonna mi consegnò per iscritto il giorno della mia ordinazione sacerdotale, le porto ancora con me, sempre nel breviario e le leggo spesso e mi fa bene. Come vorrei una Chiesa che sfida la cultura dello scarto con la gioia traboccante di un nuovo abbraccio tra i giovani e gli anziani! E questo è quello che oggi chiedo al Signore, questo abbraccio!

 

Conclusione: ci sentiamo un’unica famiglia di figli di Dio, ma anche di fratelli di tutte le età, che sentono di aver bisogno gli uni degli altri anche nel cammino della fede. Si tratta di una ricchezza da condividere perché si diventa santi insieme e insieme il mondo diventa più fecondo.

Un’unica meta: la santità, attraverso vie differenti ed esperienze le più diverse attraverso le quali ci si santifica.  Papa Francesco, nella sua recentissima esortazione apostolica “Gaudete ed Esultate”, ci invita a “non avere paura di puntare più in alto, di lasciarsi amare e liberare da Dio”. L’Azione Cattolica è una associazione che deve avere come meta esigente quella di aiutare a far fare un salto qualitativo alla fede dei propri associati. “Non avere paura di lasciarti guidare dallo Spirito Santo. La santità non ti rende meno umano, perché  è l’incontro della debolezza con la forza della grazia. In fondo, come diceva Leon Bloy, “non c’è che una sola tristezza: quella di non essere Santi ” (34).

 

23/04/2018
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