Cari fratelli e sorelle della parrocchia di Grosio e Ravoledo: ritengo mio preciso dovere di vescovo/padre accompagnare personalmente (il più possibile) i sacerdoti che fanno il loro ingresso in una nuova parrocchia (e questo non per sminuire il ruolo del vicario foraneo!), ma per due motivi principali. Innanzitutto perché i nuovi parroci percepiscano la paternità del vescovo, che è una dimensione molto importante per un prete e possano accrescere con lui una relazione filiale. C’è un legame non solo di amicizia, ma prima ancora di fede, che fa sentire al sacerdote l’appartenenza ad una famiglia, la Chiesa, una famiglia attenta alle persone singole e vicina, soprattutto nei momenti delicati e impegnativi di passaggio, quale è questo. Sentirsi accompagnati dal proprio vescovo significa godere della fiducia e della stima sua e di tutta la Chiesa, in una occasione in cui chi intraprende un nuovo cammino in una parrocchia sente tutta la propria inadeguatezza e povertà, di fronte a una nuova missione, di cui capisce a fatica solo la portata!
In secondo luogo, è necessario che il sacerdote che incomincia il ministero in una nuova parrocchia si senta “inviato” dalla Chiesa. Non è stata una iniziativa personale del singolo, in questo caso di don Ilario, una auto-candidatura, né una scelta deliberata aver pensato il servizio ministeriale a Grosio come fosse una occasione di progresso in carriera ecclesiastica! Chi è inviato risponde a una precisa chiamata e dimostra coi fatti che l’obbedienza è ancora una virtù, in un’epoca in cui è più facile cercare di accomodarsi o si è tentati di preferire ciò che più aggrada.
Lasciare una parrocchia per inserirsi in un’altra non è impresa facile. Si tratta di “strappare le radici” (ed è opera costosa per tutti!), ma questo è un modo per rispondere alla nostra vocazione di apostoli missionari/itineranti. Nel caso di don Ilario, devo confidarvi che alla chiamata per un trasferimento, ricevuta alcuni mesi fa e all’improvviso, egli ha vissuto una intensa esperienza di fede, in comunione con il Signore Gesù, sempre pronto alla volontà del Padre suo e la risposta generosa e immediata, sia pur sofferta, di don Ilario mi ha molto edificato e commosso. Sapeva bene che il distacco dai suoi amati parrocchiani di Ardenno sarebbe stato doloroso, per lui e per loro, ma preferì scegliere esclusivamente di aderire alla volontà di Dio, trasmessagli dalla Chiesa, secondo l’invito dell’Apostolo, che insegna non a scegliere il proprio interesse, ma quello altrui.
Ci sono adesso tutti i termini per presentare alla vostra Comunità di Grosio e Ravoledo don Ilario: semplicemente come un uomo di fede (e qui è detto tutto!), inserito nella Chiesa e ad essa dedito per immettersi nelle diverse realtà là dove c’è bisogno e senza pretese. Chi segue il Cristo viene da lui sorretto, in modo che possa vivere stando in mezzo alla gente, così da essere, come lo definirebbe Papa Francesco, “un pastore di popolo, perché è stato inviato lì a far crescere il popolo, a insegnare al popolo, a santificare il popolo, ad aiutare il popolo a trovare Gesù Cristo”. In questo consiste il ministero pastorale che don Ilario è chiamato a svolgere in questa comunità e che egli, ne sono certo, saprà compiere con generoso slancio, a edificazione di tutti voi, in fedele continuità con colui che l’ha preceduto, don Renato Lanzetti, ora vicario generale.
Caro don Ilario: incominci il tuo ministero in questa Comunità parrocchiale nel giorno in cui la diocesi di Como celebra la festa di s.Felice, patrono e fondatore di questa Chiesa. Ti affido volentieri alla sua intercessione e al suo patrocinio perché, come preghiamo nella colletta della Messa, S.Felice, che ha generato con la parola di verità e con il sacramento della vita la nostra famiglia e ha donato alla Chiesa di Como il primo germe della fede, possa ora comunicare a te con abbondanza l’ardore della carità.