Oggi veneriamo S. Maurizio, un generale romano, della fine del III secolo, convertitosi al cristianesimo, inviato dall’imperatore Massimiano per domare la rivolta dei Galli celti. I Santi non invecchiano mai, il loro esempio è uno stimolo per la nostra vita di fede, oggi.
- Maurizio si oppose fermamente con tutta la sua legione (la Tebea) all’ordine dell’imperatore di offrire sacrifici in suo onore, di adorare la sua effige, e così fu messo a morte con tutti i suoi soldati.
A ricordo del martirio di questo santo, che ha preferito morire, piuttosto che adorare gli idoli, è stata costruita una abbazia, ancora oggi molto viva, a Octodurum, l’odierna Martigny, nel Canton Vallese, in Svizzera.
La persecuzione è una costante nella storia della Chiesa, il filo rosso che accompagna, secolo dopo secolo, la storia dei cristiani nel mondo, dall’inizio fino ad oggi.
Anzi, dobbiamo dolorosamente constatare che attualmente i martiri di Cristo sono più numerosi di quelli dei primi secoli, nelle persecuzioni dei cristiani a Roma.
Ce lo ha annunciato la seconda lettura di oggi e poi il Vangelo:
“siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati, siamo sconvolti, ma non disperati, perseguitati, ma non abbandonati, colpiti ma non ucci, portando sempre e ovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo”.
“Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe, e sarete condotti davanti a governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani.”
Assieme alla certezza della persecuzione, Gesù assicura, però, la sua presenza efficace, che dà la forza ai perseguitati di affrontare ogni genere di prova, di morire perdonando, di subire vessazioni pur continuando ad amare, senza rinunciare alla certezza che “il sangue dei cristiani è seme di nuovi cristiani”.
Il gesto di san Maurizio, che rifiuta di adorare gli idoli, ci rimanda immediatamente alla realtà di oggi, quando l’uomo contemporaneo non è sottratto alla tentazione di costruirsi degli idoli, riponendo in essi la fiducia, illudendosi che essi conducono alla felicità nella vita.
Anche noi siamo esposti alla tentazione che il benessere, i beni materiali, ci possano bastare; anche noi siamo tentati di credere che la fama, la riuscita nella vita, dipende da ciò che si possiede e si coltiva, a volte con affanno, pur di arrivare a possederlo.
Quante consolazione effimere riempiono il vuoto della solitudine e ci sottraggono dalla fatica di credere nel vero Dio.
A volte facciamo di tutto per possedere un oggetto che consideriamo particolarmente adatto per realizzare noi stessi, credendolo una via meravigliosa per la felicità, una torre per raggiungere il cielo e tutto diventa funzionale a quella meta, sacrificando tempo, affetti, relazioni.
Il Signore viene in nostro aiuto perché ci insegna che la felicità è altrove, che la riuscita della vita non dipende dai beni che possediamo, che la fama, la notorietà, il successo sono transeunti, passano presto e ci lasciano insoddisfatti e vuoti.
Cosa, al contrario ci riempie? Quale metro di misura per la nostra vita felice e libera?
E’ il Signore che ci indica la via: la vera felicità consiste nel dono di noi stessi per amore.
Certo non è una felicità a basso prezzo: è costoso.
Il dono di noi stessi è un compito impegnativo, che richiede sacrificio e impegno.
Tutti siamo chiamati al dono di noi stessi. Qui le esemplificazioni si estendono all’infinito: dall’amore in famiglia, dal servizio in comunità, nel volontariato, nei confronti delle persone deboli, nell’assistenza ai malati, ecc.
La misura della felicità è proporzionata alla misura del nostro amore.
Abbiamo davanti Gesù, che “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. Egli non solo è il modello per una vita riuscita, ma anche è la forza che ci permette di amare oltre misura, come ha fatto lui.