Venerdì santo
In questa liturgia del venerdì santo la Chiesa celebra la passione gloriosa del Signore. La croce di Gesù è già innalzamento nella gloria e nella vita di Dio, come è evidente nel racconto della passione secondo Giovanni, che è appena stata letta.
La croce del Signore diventa così la sua vera cattedra, il luogo da dove Egli manifesta il frutto della sua obbedienza incondizionata al Padre, insieme al suo amore sconfinato per gli uomini, suoi fratelli. Dall’alto della croce Gesù attira tutti gli uomini a sé per dare loro la salvezza e diventare così il re di tutti coloro che credono in lui.
Come Gesù sulla croce, anche per noi oggi l’ emergenza sanitaria può trasformarsi in occasione per celebrare la Pasqua nella sua pienezza: far trionfare l’amore e la solidarietà dove c’è malattia, tristezza, solitudine e pianto, nelle famiglie, innanzitutto, ma poi negli ospedali, nella case di riposo per anziani, presso le persone più vulnerabili, sole o lasciate ai margini, come i senza dimora.
Le circostanze dolorose che stiamo attraversando, a causa del corona virus, con i relativi drammi, ci costringono ad andare all’essenziale, come ci attesta un testimone della Pasqua, Pierre Claverie, vescovo in Algeria, ucciso nel 1996 e beatificato nel 2018, assieme a diciotto fratelli e sorelle, tra i quali i monaci trappisti di Tiberine, quelli che molti di noi conoscono attraverso il film “Uomini di Dio”.
Scrive il vescovo Claverie: “Le crisi che attraversiamo, la morte che sfioriamo, ci costringono a rivelare le nostre ragioni di vivere…Le scosse e gli impoverimenti che ci impongono le circostanze difficili possono essere benèfici se dissipano le illusioni e le false apparenze. Si tratta di altrettante “morti”, di strappi a volte dolorosi, senza i quali rischiamo di vivere alla superficie di noi stessi, unicamente preoccupati delle apparenze ed esposti a qualsiasi crollo. La nostra vita può allora diventare più giusta, più forte e più vera”.
Anche Papa Francesco, in quella serata memorabile in piazza S. Pietro, lo scorso 27 marzo, ha ricordato al mondo: “E’ il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. E’ il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di te, Signore, e verso gli altri”.
Questi tempi di fatica e di prova, a cui siamo sottoposti, ci costringono a non prendere la vita “alla leggera” e a scoprire le condizioni perché essa possa crescere e portare frutto a beneficio degli altri. Questo tempo di prova è una occasione non solo di conversione religiosa, ma anche politica, sociale e umana.
La passione di Gesù è stata innanzitutto una passione per Colui che egli ha chiamato: “Abbà, Padre”, ma anche una passione d’amore da condividere con tutti i suoi fratelli in umanità. Il servo, di cui si è parlato nella prima lettura, “disprezzato e reietto dagli uomini, che non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi” sulla croce “ha successo, è onorato esaltato e innalzato grandemente”. Sulla croce risplende della vera bellezza: quella di chi si dona consumandosi per amore.
Oggi ci consola molto la presenza del nostro santo e venerato Crocifisso, trasportato per questa speciale circostanza dalla Basilica dell’Annunciata. Egli è qui perché noi, a nostra volta, diveniamo capaci di affrontare responsabilmente questo tempo di afflizione e di portare consolazione ai nostri fratelli nei diversi contesti di vita. E’ il modo migliore per onorare la sua presenza ed è pure l’intenzione di preghiera a lui maggiormente gradita.
Il Crocifisso è qui davanti a noi e ci raggiunge. Viene a visitarci nelle nostre case.
Come un tempo ha sciolto le catene che impedivano il passaggio nella nostra Città, così oggi scioglie le nostre catene, quelle che ci tengono legati all’ egoismo e ci impediscono di piangere con chi piange e di gioire con chi gioisce.
Chiediamo che il Crocifisso ci liberi dall’ orgoglio, dal desiderio di successo, dalla bramosia di rivincita sugli altri, e perfino dalle nostre rabbie segrete. Sono catene, le nostre, alle quali molto raramente riconosciamo di essere legati.
Lasciamo che lo sguardo del Signore crocifisso e risorto ci raggiunga dentro. Solo lui comprende le nostre paure, le resistenze, i ritardi nell’impegnarci con decisione al servizio degli altri perché ci ama davvero e ci conosce più di quanto noi conosciamo noi stessi. Egli è qui per trasformare le nostre esitazioni in fiducia, la nostra angoscia in speranza.
Siamo invitati a patire con chi soffre, chiamati a stare vicino a chi è solo, a condividere le fatiche di chi è insicuro del suo domani per le poche risorse economiche a sua disposizione.
Mi pare di avvertire che in questo periodo una nuova domanda religiosa stia nascendo. Lo scoprono, con un certo stupore, quanti pensavano che la fede in Dio fosse questione di altri tempi, ormai passati!
A noi il compito e il fascino di “dire Dio” in maniera che la gente di oggi capisca e si senta attratta a lasciarsi amare e quindi a lasciarsi salvare dal Signore, che dall’alto della croce continua ad attirare a sé tutti gli uomini. “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37).