Come sempre, la Parola di Dio ci dona un giudizio appropriato su chi siamo noi, e su quello che facciamo.
Ci interroga sulle nostre intenzioni segrete, che non condividiamo ad alcuno, sui desideri che rimangono inespressi, ma che noi coltiviamo nel profondo e dentro i quali ci inquietiamo se poi non riusciamo a realizzarli.
Perché siamo qui, in questo luogo di carità? Cosa intendiamo esprimere con la nostra presenza in questo luogo? Cosa desideriamo ardentemente nel cuore, anche se facciamo fatica a manifestarlo fuori di noi? Siamo disposti veramente a donare, con larghezza, a servire generosamente, o approfittiamo della situazione per crederci preziosi, importanti e magari anche insostituibili?
Sono domande che ciascuno deve porsi, perché non è facile lasciar emergere le nostre vere intenzioni ed esse non sono sempre del tutto pure e del tutto gratuite.
Sono domande che mi vengono spontanee quando sento la parola di Dio dal libro dei Numeri, nella prima lettura di oggi. Un giovane, che pure aveva ricevuto lo Spirito invocato sui settanta, corre affannato e anche rattristato da Mosè, lamentandosi che due uomini, che erano rimasti nell’accampamento, di nome Eldad e Medad, avevano ricevuto anch’essi lo Spirito santo.
È una considerazione che esprime la grettezza e la possessività ‘di questo giovane. Voleva arrogarsi il diritto esclusivo dello Spirito ricevuto e non avrebbe voluto che ad altri fosse concesso ciò che riteneva un dono circoscritto ai soli appartenenti al suo gruppo.
Non possiamo definirci gli esclusivi specialisti della carità, né escludere che altri possano con noi, e magari meglio di noi, e con motivazioni più vere, impegnare il tempo e dedicare il cuore al servizio dei poveri.
Quanto pericolo di auto referenzialità può emergere anche dentro il nostro appassionato servizio.
Quanti doppi fini possono emergere dietro scelte anche buone e lodevoli.
C’è voluta tutta la sapienza e la saggezza di Mosè per rassicurare questi uomini richiusi nei loro piccoli schemi e tenacemente di parte.
“Fossero tutti profeti nel popolo del Signore. Volesse il Signore porre su di loro il suo Spirito”. Mosè, al contrario, è un uomo che accetta il bene da qualunque parte provenga e comunque esso si manifesti. Non è un uomo di parte, non è interessato a far prevalere qualcuno, ma accoglie tutti, anzi desidera che tutti siano valorizzati a partire dalla loro condizione di vita e dai doni che Dio ha offerto a ciascuno.
A rincarare la dose, nel vangelo, viene ricordata l’amarezza di Giovanni che si lamenta con Gesù perché un tale scacciava i demoni nel nome di Gesù e i discepoli glielo volevano impedire.
Qui è il caso dei timbri! A chi spetta? Chi legittimamente deve prendersi cura della casa della carità? Qual è il proprium di ciascuno? Sono interrogativi che possono anche urtare qualcuno dei presenti, ma che è bene ricordarci, in tutta carità.
È importante aiutarci ad allargare i nostri orizzonti, a far crescere in noi la gioia e la consolazione di sentirci tutti impegnati per una causa comune, dove il più importante non è chi dà di più, ma è chi avrà amato di più e avrà servito i fratelli “con gran cuore”, riconoscendo il volto di Gesù in ciascuno di essi, come i nostri Santi della carità ci hanno insegnato.
Facciamo in modo che la nostra presenza in questo luogo di carità, diventi una testimonianza bella di una Chiesa che si preoccupa di fare di Como una città di fratelli.