Cattedrale di Como, 28 marzo 2024

Vicinanza, compassione, tenerezza: lo stile del Buon pastore

Omelia nella Santa Messa del Crisma

A voi, cari fratelli e sorelle amati dal Signore, membri eletti del popolo regale di Dio, e in particolare a voi, cari presbiteri e diaconi, fratelli e sorelle membri della vita consacrata: ben ritrovati in questa nostra Cattedrale, centro e cuore della nostra diocesi per l’annuale Messa crismale.

Un saluto cordiale lo rivolgo anche ai cresimandi, giunti dai diversi vicariati: in questa celebrazione assisterete alla benedizione degli olii sacri – l’olio per l’unzione dei catecumeni, per l’unzione degli infermi e il sacro crisma, che vi renderà sempre più amici di Gesù e suoi testimoni.

Rinnoviamo oggi un appuntamento che ci è caro perché ci sentiamo vitalmente inseriti nella nostra amata Chiesa di Como e insieme perché, con la nostra presenza, testimoniamo unità e concordia, che sono il dono più prezioso che possiamo annunciare agli uomini e alle donne del nostro tempo. In questi mesi, come sapete, si sta svolgendo la Visita pastorale e sono già quattro i vicariati che ho incontrato. Ho potuto intrattenermi con varie espressioni del popolo di Dio, con molti laici e soprattutto con i sacerdoti e i religiosi, con i quali abbiamo vissuto un congruo tempo di ascolto e di confronto, in un clima di fiducia reciproca, di schiettezza e di serenità.

La visita pastorale è stata da me voluta per aiutare i vicariati e le singole parrocchie a tradurre in concreta azione pastorale gli orientamenti sinodali, riassunti nel testo “Testimoni di misericordia”, che deve essere per la nostra comunità diocesana il riferimento condiviso per un cammino di comunione. Lì sono espresse le “tre urgenze” che, in unità con la Chiesa italiana e universale, avvertiamo oggi necessarie: la missionarietà, la sinodalità e la ministerialità. Convertirci a queste dimensioni evangeliche, e quindi costitutive della Chiesa, è una sfida che richiede tempo e pazienza, ma insieme un coraggioso salto di qualità, per rispondere alle attese di Dio sulla Chiesa di oggi.

Nel mese di febbraio, ho partecipato, insieme agli altri fratelli Vescovi lombardi, ad un’altra importante occasione di comunione: la “Visita ad limina” presso la Santa Sede, durante la quale abbiamo avuto anche un cordiale incontro con Papa Francesco, che ci ha intrattenuto per quasi due ore. In quel dialogo il Papa ci ha mostrato, ancora una volta, la sua paterna affabilità, insieme ad una grande stima e interesse per le nostre Chiese di Lombardia.

Vorrei con voi condividere e riflettere insieme proprio a partire da alcune parole che il Papa ci ha consegnato in quell’occasione. Egli ci ha indicato come attitudine permanente di tutti i discepoli di Gesù tre indispensabili atteggiamenti. Se questi valgono per ogni battezzato, a maggior ragione sono disposizioni preziose per chi svolge nella Chiesa un ministero ordinato, che in forza del sacramento dell’Ordine è configurato a Cristo Pastore.

Il nostro modo di essere pastori, quindi, non può prescindere da queste tre dimensioni, tanto necessarie per noi, chiamati a rappresentare al vivo la misericordia del Dio trinitario, anzi potremmo dire che queste sono “la prova del nove” della nostra pastoralità.

 Vicinanza, compassione e tenerezza: non si tratta semplicemente di un modo formale e educato di relazionarsi con la gente, per esigenze di galateo, come se si trattasse solo di “buone maniere”, ma senza lasciarsi toccare interiormente mentre incontriamo i fratelli e le sorelle di ogni età e condizione.

Esse sono piuttosto il frutto di un esigente cammino ascetico, che conduce ad avvicinarci alla somiglianza con Cristo, mite e umile di cuore. È questa la sua fisionomia intima, alla quale cerchiamo di identificarci, non senza fatica, contando sull’opera trasformatrice della grazia dello Spirito Santo, sempre disposto a “cristificarci”.

Il Vangelo ci presenta continuamente Gesù che ha sempre agito nei confronti delle persone che incontrava con questo stile di vicinanza, compassione e tenerezza, e così si è mostrato viva immagine del Dio invisibile. La nostra indispensabile missione di guidare il gregge è però preceduta da un nostro personale amore per Cristo senza resistenze, né distanze.

Noi non nasciamo già disposti a venire sempre incontro a tutte le persone che il Signore mette sul nostro cammino. Nemmeno sappiamo manifestarci veramente compassionevoli con quanti soffrono. A fatica sappiamo usare tenerezza, senza possedere o lasciarci possedere dalle tante persone che pure, attraverso di noi, vogliono sperimentare la tenerezza e la bontà misericordiosa di Dio nei loro confronti.

Non possiamo agire da distaccati per una presenza solo formale verso il popolo di Dio. Rischieremmo di essere dei semplici funzionari, ma non dei veri pastori, come Dio ci vuole. Finiremmo di essere fra i tanti della nostra epoca che appoggiano la “globalizzazione della superficialità”, mentre siamo chiamati a identificarci con quanti si impegnano per una “globalizzazione della profondità”, creando rapporti di vera e provata solidarietà, segno di autentica fraternità.

Lasciamoci allora, ancora una volta, provocare dal messaggio liberante di Gesù, perché avviciniamo le persone con il suo stesso sguardo, per condividere e trasmettere la sua compassione a tutti e soprattutto a quanti ci comunicano fatiche, sofferenze e prove. Proponiamoci di imparare a trasmettere sempre meglio l’amore tenero di Gesù, divenendo così capaci di sperimentare, proprio attraverso la nostra tenerezza, una vera fecondità che si manifesta attraverso la paternità spirituale.

 VICINANZA

Per imitare la vicinanza del nostro Dio, da sempre vicino al suo popolo e in cammino con lui nel deserto del mondo, impariamo anche noi ad essere vicini al nostro popolo mediante una presenza discreta, eppur costante, umile, e insieme forte e rassicurante.

I nostri fratelli e sorelle di fede desiderano sperimentare la nostra vicinanza nei loro confronti innanzitutto quali uomini che conoscono per primi le fatiche della vita. Poi ci aspettano anche come discepoli del Signore, che per primi testimoniano la gioia del Vangelo, pur in mezzo alle fatiche quotidiane. Attendono la nostra vicinanza, infine, quali pastori che si prendono cura del gregge e si impegnano per costruire con tutti legami sempre nuovi di fraternità.

 COMPASSIONE

Per manifestare da pastori la compassione di Gesù ritorniamo più spesso al brano evangelico che presenta il nostro Maestro divino che ha compassione della folla radunata ad ascoltarlo nel deserto, ma priva di cibo. Egli paragona questa gente a “pecore senza pastore” e ne prova pietà. Quanti fratelli e sorelle incontriamo quotidianamente che riversano su di noi i loro crucci, le fatiche della loro famiglia, le lacrime per le incomprensioni con i figli o con i genitori, la loro profonda solitudine, vero male del nostro secolo. Spesso si tratta di persone cresciute con una falsa immagine di Dio, che fanno fatica a riconoscerlo come il Dio compassionevole, ricco di Misericordia. Non accettano di lasciarsi amare da Dio, temendo di essere indegni per la loro condotta di vita o per le ferite del passato che lacerano il cuore. Hanno bisogno della nostra compassione, riversata con delicatezza, per giungere a conoscere il vero volto di Dio, che si prende cura del gregge indebolito e disperso e che chiama per nome ciascun pecora del gregge, offrendo sempre gioia e consolazione. Siamo chiamati (ed è la nostra missione propria!) a generare e rigenerare sempre speranza, attraverso il sacramento della rinascita battesimale, che è la Riconciliazione, balsamo della vita risorta.

 TENEREZZA

Imitiamo, infine, lo stile di Dio, che si fa piccolo per venirci incontro. È la strada dell’amore umile che non giudica, non classifica, ma piuttosto si fa vicino alle tante situazioni umane, davanti alle quali non possiamo restare spettatori impassibili, ma sentirci coinvolti con tutte le forze del cuore. La tenerezza è la strada degli uomini coraggiosi che non la ritengono per nulla un atteggiamento di debolezza, ma che piuttosto partecipano dal di dentro alle sofferenze altrui. Si diventa così aperti e pazienti anche davanti a chi resiste o a chi si oppone, senza mai reagire con prepotenza. Abbondare nella gentilezza, con semplicità e pazienza, ci è tanto necessario, quanto più la vita è oggi divorata dalla fretta e dall’indifferenza e sempre più, nella società e nel mondo, cresce una preoccupante aggressività. Abbiamo bisogno di rapportarci nei confronti di chi avviciniamo non con la sicurezza del maestro che impone dall’alto la sua verità, ma con l’atteggiamento di chi, sperimentando anzitutto in sé la propria fragilità e debolezza, insegna a farne tesoro, ricuperando e promuovendo il positivo che sempre esiste in ogni persona. Dedicare tempo e cura alle relazioni è oggi la vera priorità. Molte persone, con qualifiche migliori delle nostre, possono essere delegate per altri servizi, che invece spesso ci assorbono e ci fanno allontanare da ciò che per noi è prioritario. Diventeremo così esperti di umanità e ministri di consolazione al servizio delle persone e della Comunità che ci è stata affidata.

 VICINANZA, COMPASSIONE E TENEREZZA

Ecco il dono che possiamo chiedere al Padrone della messe per un esercizio fruttuoso del nostro servizio apostolico presso la nostra gente, che invoca di essere accolta e ascoltata come persone non diverse da quello che è ciascuno di noi.

Questo sarà possibile se noi per primi sperimenteremo il nostro personale bisogno di sentirci accolti e amati. Tante persone di buona volontà sono infatti disponibili nei nostri confronti perché possiamo, a nostra volta, accogliere la loro vicinanza, unita alla condivisione delle nostre fatiche apostoliche, in un clima di schietta amicizia.

È in fondo questo il vero cammino della santità: sperimentare la Misericordia, ricevuta dal Signore e ricambiarla abbondantemente. Solo così ne diventeremo autentici testimoni e annunciatori.

Oscar card. Cantoni

Vescovo di Como

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