Vicariato di Sondrio

Omelia a chiusura della Visita vicariale

Questa Eucaristia è un vero rendimento di grazie per ciò che è stata per noi, in questi giorni, la visita pastorale al vicariato di Sondrio, cioè una felice occasione per “fare il punto” sul nostro cammino di fede comunitario.

Abbiamo colto l’opportunità di riportare alla memoria del cuore ciò che il Signore ha compiuto per noi e con noi in questi ultimi anni, così da riconoscerci come fedeli discepoli di Cristo, tutti chiamati per grazia, ad annunciare e testimoniare la sua misericordia.

Penso che la visita pastorale, che poteva apparire a prima vista un’inutile e dispersivo impegno, possa essere stata interpretata come una felice opportunità per toccare con mano come il Signore sia continuamente all’opera nella sua Chiesa e quanto oggi egli ci utilizzi come suoi fedeli strumenti, per fare della Chiesa una grande e unica famiglia, dove tutti si sentono figli dello stesso Padre e fratelli e sorelle tra noi.

Ho potuto constatare come vi sentiate pienamente inseriti nel cammino della nostra Chiesa di Como, che vive in questo tempo, in questa terra, all’interno della non facile situazione storica, con le tante sfide che dobbiamo saper intravvedere e affrontare.

Avete compreso che le indicazioni del nostro recente Sinodo possono diventare sempre più le linee guida fondamentali del nostro essere insieme discepoli di Cristo, tutti responsabilmente chiamati, con il Battesimo, ad annunciare le grandi opere di Dio a servizio dell’umanità.

Ogni battezzato, a partire dai propri doni, deve accogliere l’appello a vivere come un discepolo missionario. Non esiste possibilità di delegare ad altri ciò che invece è compito di ciascuno.

Tutti siamo chiamati a coniugare l’urgenza di una carità che ci sollecita e la pazienza di una fraternità che lentamente si va tessendo, in un clima di dialogo, anzi di servizio.

Abbiamo avuto a più riprese, in questi giorni, la possibilità di riflettere su due delle tre indicazioni del Sinodo, ossia la sinodalità e la ministerialità. Ora, alla luce del vangelo di oggi, festa dell’Ascensione, ci è data l’occasione favorevole per riflettere sul tema della missionarietà, compito indicato come indispensabile, riservato non a pochi, ma a tutti i discepoli del Signore., missionari ciascuno nel proprio quotidiano.

È Gesù stesso, che prima di salire al cielo ha invitato i suoi Apostoli ad andare in tutto il mondo con coraggio ad annunciare il vangelo. Il nostro mondo è per noi oggi l’ambiente di famiglia, di lavoro, di associazione, di svago. Non si tratta certo di utilizzare questo mandato missionario come espressione di una volontà di conquista, che permette di ritornare al tempo, ormai definitivamente trascorso, della cristianità.

Il compito è altro, ossia quello di vivere coscientemente la nostra vita ordinaria da ardenti discepoli di Cristo, ossia da veri cristiani, in un ambiente che non lo è più.

Si tratta di imparare a frequentare persone che vivono nel nostro mondo come se Dio non esistesse, con altri che non conoscono Cristo o hanno abbandonato la fede, in modo tale da ingenerare in tutti una certa sana curiosità.

Vorremmo che essi, vedendoci all’opera, potessero scoprire ciò che ci fa vivere. ossia imparare a riconoscere da dove proviene il segreto per una bellezza di una vita che genera rapporti teneri e sinceri, mentre siamo rispettosi della dignità e della inviolabilità di ogni persona umana.

Vivere la nostra vita come missionari significa presentarsi benevoli e lieti verso tutti, così da testimoniare una vita profondamente umana, di fronte a tanti episodi di violenza, di solitudine, infine di disumanità.

Come discepoli missionari siamo tutti chiamati a una vicinanza sincera e discreta verso tutti, mediante una compassione che non ferisce, ma accoglie e soccorre tante persone, sole e spesso depresse.

Oggi l’evangelizzazione consiste nel saper infondere in ogni relazione una disinteressata e profonda tenerezza, come quella che i vangeli ci testimoniano, vissuta da Gesù.

Questo vale anche per le nostre comunità parrocchiali. La Chiesa cresce non per proselitismo, ma per attrazione.

La qualità della nostra testimonianza di vita comunitaria, offerta con un certo stile di accoglienza nei confronti di altre persone, lontane dalla fede, e insieme la bellezza dei nostri rapporti interpersonali, può suscitare ancora un significativo fascino, tanto da domandarsi se non valga la pena di vivere da cristiani.

Molte persone, che vivono pienamente integrati nella cultura secolarizzata del nostro tempo, possono ancora venire toccate dalla verità e dalla forza del vangelo da noi vissuto dentro le nostre comunità ecclesiali.

Per gli incontri vissuti in questi giorni con voi, posso riferirvi di aver riconosciuto segni eloquenti di vangelo, che preludono a una nuova fioritura di vita cristiana e quindi di avere intravisto comunità cristiane, associazioni e gruppi di volontariato, centri di formazione giovanile, oratori e scuole che possono ancora diffondere la gioia del vangelo.

Ringrazio tutti, fedeli e pastori, per la vostra bella e luminosa testimonianza di fede, di speranza e di carità.

Oscar card. CANTONI

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