“Gli occhi di tutti erano fissi su di Lui” (Lc 4,20)
Cari fratelli e sorelle, membri tutti del santo Popolo di Dio,
Il Vangelo secondo Luca ci ha annunciato il discorso di Gesù, tenuto in giorno di sabato, nella sinagoga di Nazareth, dove Egli, davanti a un’assemblea del suo popolo, con parole sue, rende conto della coscienza filiale che Egli ha preso su di sé e della missione profetico- messianica, affidatagli dal Padre suo nel Battesimo. “Gli occhi di tutti erano fissi su di Lui”. Avvertono che sta per incominciare qualcosa di nuovo: tutti lo osservano con uno sguardo pieno di attesa.
Anche noi, nella nostra solenne, eppur famigliare e gioiosa atmosfera di questa liturgia crismale, siamo oggi chiamati a volgere i nostri sguardi su di Lui.
Gli occhi sono lo “specchio dell’anima”: se illuminati dalla Parola di Dio, “fanno gioire il cuore” (cf. Sal 19,9). Secondo Romano Guardini le radici degli occhi affondano nel cuore, così che “solo l’amore è capace di vedere” per poter conoscere ancora più a fondo il Signore Gesù e amarlo, confermando così la nostra sequela.
Fissiamo lo sguardo con amore su Gesù e lasciamoci avvolgere dal profumo dell’olio del Crisma, che oggi viene benedetto. Esso diffonde ed espande ancora il suo intenso profumo di grazia, fino a rivestircene di nuovo, fino ad assorbirlo nel profondo di noi stessi.
È la felice continuità e naturale sviluppo di quella unzione crismale, effusione di Spirito Santo, che abbiamo assunto nel giorno del nostro Battesimo, poi nella Cresima, e infine, per noi presbiteri, nel giorno benedetto della nostra Ordinazione, che ancora ci ammanta e continua a produrre i suoi frutti.
In questo anno Giubilare, nella gioia della celebrazione della Pasqua nella data comune, in unità con i fratelli delle altre Confessioni cristiane, siamo dunque invitati a fissare lo sguardo su Gesù e con la Chiesa riceviamo la missione di annunciarlo a tutti, sempre e ovunque, perché Egli è la “nostra speranza” (1Tm 1,1).
“La speranza non delude” (Rom 5,5) perché offre la certezza dell’amore di Dio, come ci ricorda papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo dell’anno 2025.
- Dove nasce la speranza cristiana?
La nostra speranza va ben oltre un semplice, umano ottimismo, non si fonda sul fragile auspicio, tanto comune nei tempi della pandemia, quando ricorreva l’adagio: “andrà tutto bene!”. La nostra speranza nasce dalla memoria di ciò che Dio ha compiuto in noi, a cominciare dalla certezza che Egli ci ama per primo, è continuamente all’ opera attraverso di noi, agisce dentro il ministero pastorale di noi presbiteri e diaconi, delle persone consacrate, come attraverso il ministero sponsale, educativo o caritativo dei laici, nonostante la nostra comune, debole umanità e gli ostacoli che spesso si insinuano.
Siamo amati, siamo perdonati, quindi rinasciamo a vita nuova. Ci è stata mostrata misericordia, quindi siamo chiamati ad essere strumenti di misericordia: ecco il nostro comune compito!
La nostra speranza deriva, inoltre, dalla gioiosa consapevolezza che Gesù Cristo, crocifisso e risorto, ci ha chiamato alla sua sequela non per i nostri meriti, ma solo per una sua sovrabbondanza d’amore e attraverso di noi genera il fascino e l’appello per una nuova fraternità. Abbiamo la grazia di affermare che la risurrezione del Signore è gioia, è certezza, è speranza per tutti!
La nostra speranza si sviluppa, infine, attraverso la consolante promessa dello Spirito Santo, che ci rende suoi servi operosi (nel campo pastorale, come negli altri ambiti) e continua ad effondere i molteplici frutti della Redenzione, operata da Cristo a vantaggio di tutti, anche se a noi non è dato di poterli verificare immediatamente.
Ogni mattina, Dio crede in noi e ricomincia, effondendo il suo Spirito Santo vivificante, che dilata ed espande i frutti della morte e risurrezione di Cristo in tutto il mondo. Non solo li mantiene vivi, ma li rende fecondi. Questa certezza ci rende forti nelle tribolazioni, nelle nostre fatiche, nelle occupazioni a cui siamo continuamente sottoposti e ci apre a nuova speranza.
Sappiamo bene che il centro del cristianesimo consiste primariamente in ciò che Dio fa per me, per ciascuno di noi, con il suo amore gratuito, e non tanto per ciò che noi facciamo per Dio.
Da qui si sviluppa, tuttavia, di conseguenza, una grande, rinnovata risposta all’amore preveniente di Dio, alla grazia operante, che ha messo nelle nostre mani, fin dal giorno della Ordinazione presbiterale o attraverso la grazia del Matrimonio cristiano. Da qui il desiderio vivo di collaborare responsabilmente alla costruzione del Regno di Dio, in tutte le sue forme, unendoci al grande sogno del Padre, che mai si spegne, per una nuova umanità, nonostante le tante resistenze umane che ancora vi si frappongono.
La nostra non può essere se non una risposta piena di gratitudine per la fiducia e la stima che il Signore ripone in noi, in ciascuno di noi, testimoni grati delle meraviglie di grazia che Egli compie, attraverso di noi, ma anche senza di noi, e a volte, anche nonostante noi!
Alla luce di queste certezze, la speranza cristiana per noi risulta un obbligo, essa non può venire meno. La speranza è credere che per Dio anche l’impossibile può divenire possibile: “Nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,27).
Dio crea una cosa nuova, per questo crediamo e a speriamo in Lui e, pur non compiendo gesti spettacolari, continuiamo ad operare a servizio dei nostri fratelli e sorelle, delle famiglie, dei poveri che vivono accanto a noi, constatando con stupore il prodigio quotidiano di un amore che non si arrende. È la speranza il segno di un amore divino che non si lascia sconfiggere dalla indifferenza, dalla noia, dalla delusione di chi non si attende più nulla di nuovo. Il Figlio del Dio vivente guida il tempo e la storia degli uomini. Egli entra nelle nostre vite e cammina silenzioso con ognuno di noi e opera attraverso di noi.
- Viviamo il nostro ministero con la forza della speranza?
Il nostro paziente compito, la nostra azione missionaria, consiste per tutti noi nel ridare vita e forza a chi è oppresso o stanco di vivere, stabilire relazioni pacificanti in coloro che sono sopraffatti dalla stanchezza della vita (e sono molti!), facilitando in ognuno la possibilità di aprire le porte a un futuro di speranza. Sollevare quanti sono oppressi dalla pesantezza di una colpa passata, che blocca le porte a un nuovo futuro: questo è soprattutto per noi presbiteri il nostro ministero della speranza, con cui muovere a vita nuova, riconciliata con Dio e i fratelli, quanti incontriamo ogni giorno, mentre trasmettiamo loro una visione positiva della vita, carica di entusiasmo e piena di fiducia in Dio, Signore della storia.
Le difficoltà e le sfide ci sono e ci saranno sempre, soprattutto per coloro che vivono in situazioni di disagio, ma se siamo dotati dalla speranza che viene da Dio, le possiamo affrontare coraggiosamente, sapendo che esse non avranno mai l’ultima parola, giacché Cristo, crocifisso e risorto, ha oscurato il male e lo ha già vinto.
La speranza ci obbliga tuttavia a camminare a piccoli passi progressivi, ad avanzamenti modesti e graduali. Quanta pazienza i genitori esercitano nei confronti dei loro figli! Quanta delicatezza occorre prestare, da parte di noi presbiteri, per la crescita nelle nostre Comunità di una mentalità sinodale, bloccati come siamo tutti da una forte carica di individualismo! Non ci è chiesto di precorrere i tempi e di scavalcare i limiti del presente. Eppure, Dio ci offre ogni giorno l’opportunità di ricominciare, sempre. Ogni giorno il Signore attende il nostro piccolo “sì” perché attraverso di noi possa operare le sue meraviglie.
A ciascuno di quanti consoliamo: anziani, persone sole, adolescenti in difficoltà, coppie di sposi in crisi, ogni giorno è data la grazia di Dio per proseguire il cammino, per sentirsi sollevati, accettare i propri limiti, rialzarsi dalle ferite del peccato e continuare con slancio il cammino, senza stancarsi.
Il Signore irrompe nei nostri inferi e ci salva, cura con la speranza le ferite della fragilità e della incompiutezza e lo fa gratuitamente, anche attraverso il nostro umile, quotidiano ministero, sia che siamo presbiteri o diaconi, laici e laiche, sposati o no, oppure persone consacrate, anche quando noi non ce ne avvediamo!
Promuovere la speranza nel cuore della gente che incontriamo si traduce nell’indicare il bene oggi possibile, senza bloccare nella sfiducia chi ha storie accidentate. Significa additare la strada, magari anche con frequenti cadute, ma con la possibilità sempre di nuove riprese.
La speranza è indicare, sostenere, avviare un passo in più, senza scoraggiarsi. Se viviamo in noi stessi questa dinamica del non arrendersi, anche quando scorgiamo i limiti del nostro operare, faciliteremo il cammino di speranza di tanti nostri fratelli e sorelle, che da noi attendono solo sostegno, conforto e consolazione, anche di fronte alle prove più acute, anche davanti a un lutto impossibile da accettare. Noi possiamo essere espressione dell’amore di Dio, che fa scaturire la gioia e la speranza anche dove sembra irrealizzabile.
3. Chiamati ad essere custodi dei “segni di speranza” che avvertiamo all’interno delle nostre Comunità.
Per riconoscere i numerosi e variegati segni di speranza che fioriscono attorno a noi, davanti al tanto bene che è presente nel mondo, come pure nel nostro ambiente, nella nostra Comunità cristiana, nelle nostre famiglie, occorre che impariamo a scorgere e valorizzare, innanzitutto, i segni di speranza a cominciare dai singoli germogli di bene che intravvediamo sul terreno nel quale lavoriamo, con la stessa speranza abitata dal contadino. Mentre in un campo di aride zolle, infatti, l’occhio comune non percepisce nulla, lo sguardo dell’agricoltore riesce a intravvedere i germogli che tra poco nasceranno e non dubita che da lì finalmente verranno i frutti, dono del cuore, insieme divino e umano, di Cristo, che brucia di misericordia per tutti noi.
Il nostro impegno pastorale consiste nel riconoscere e additare agli altri ogni germe buono che Dio, eterna speranza, ha seminato in coloro che ci sono affidati: sono molto di più di quanto noi crediamo. Il piccolo seme di bontà diventerà un albero rigoglioso, così che nessuna delle energie che spendiamo si consumano invano.
Con occhi purificati dalla cecità spirituale, sapremo distinguere i pluriformi segni di bellezza che giacciono attorno a noi, nella nostra Chiesa e nel mondo, frutto della forza inflessibile del buon seme di Dio, sempre fecondo.
Anche se la storia è gravida di segni di morte, come facilmente constatiamo pure in questi giorni, non mancano attorno a noi eloquenti “segni di risurrezione”, luoghi di riconciliazione, spazi di vera e profonda umanità, gesti di intensa comunione fraterna. E ciò favorisce la possibilità di guardare al futuro con rinnovata speranza, attenti alle imprevedibili sorprese dello Spirito.
La speranza si identifica così con la Vita eterna come nostra felicità, compimento di tutte le speranze umane, promessa a chi crede e partecipa alla morte e risurrezione di Gesù, che ha ricevuto ogni potere in cielo e in terra (Mt 18,28).
Come ci ricorda papa Francesco nella bolla di indizione di questo Giubileo: “La storia dell’umanità e quella di ciascuno di noi non corrono verso un punto cieco o un baratro oscuro, ma sono orientate all’incontro con il Signore della storia. Viviamo quindi nell’attesa del suo ritorno e nella speranza di vivere per sempre in Lui” (19). La morte non ha per i credenti l’ultima parola, essa è stata definitivamente sconfitta. Dall’alba di Pasqua una nuova primavera di speranza è già incominciata. La risurrezione del Signore, “evento unico e irrepetibile” (Benedetto XVI), illumina e rischiara le zone buie del nostro mondo e in noi accende la speranza di una vita piena, al di là della morte, senza fine. “Il giudizio di Dio, che è amore, non potrà che basarsi sull’amore, in special modo su quanto lo avremo o meno praticato nei riguardi dei più bisognosi, nei quali Cristo, il Giudice stesso, è presente” (SnC 22).
Con questa consapevolezza andiamo incontro con tanta speranza al futuro che Dio ci prepara!
Oscar card. Cantoni