er non dimenticarmi, preciso subito che il tema è: “Amicizia reale, non virtuale”, siamo al secondo incontro organizzato dalla parrocchia di san Fedele ma aperto alla città, per la serie “Giovani
e adulti: incontriamoci”. Ezio Aceti è uno psicologo, ma anche un uomo abituato a spiegare le cose per filo e per segno. Lo si vede subito. Uno schermo campeggia in san Fedele e una slide minaccia di essere la sorella di tante altre che seguiranno. In effetti lo schema è pronto, serrato. Uno: il mondo oggi. Due: sulla persona. Tre: sull’amicizia. Ma quando inizia l’incontro capisci che quella di stasera non sarà una noiosa conferenza da riempire con qualche occhiata al cellulare. Il relatore ingrana subito la quarta e parte sparato, microfono in mano, passeggiando su
e giù, catturando gli sguardi, provocando domande e lanciando frecciatine a destra e a manca.
Cercando però di stare nello schema, alla faccia di chi si è perso lo show, ecco cosa ha detto. Uno: il mondo di oggi. Se ieri nei rapporti dominavano le regole, oggi sono le emozioni a farla da padrone; alla coerenza, anche educativa, ha fatto seguito il pluralismo; gli stimoli sono ora tantissimi; le amicizie, una volta profonde, sono superficiali; se ieri quel che contava per i giovani era
la voglia di diventare grandi, oggi vivono l’epoca delle passioni tristi, come recita il titolo di un recente libro edito da Feltrinelli. La crisi del sistema tradizionale è evidente, già ampiamente anticipata dai filosofi (Zambrano, Baumann, Ricoeur, Galimberti) e si esprime in tutti gli aspetti della vita, nella famiglia, nella scuola, nella comunità. La via d’uscita è pensare un uomo differente, relazionale: una vita di relazione in cui adulti e giovani si parlino in modo empatico (non credo che sia solo perché siamo in una chiesa che Aceti tira presto in ballo Cristo, empatico per eccellenza, che non ha predicato una dottrina, ma suscitato in chi incontrava curiosità, simpatia, interesse reciproco). Due: la persona. Non siamo un animale evoluto, lo dice a chiare lettere, il relatore: siamo un essere sociale che impara prestissimo a vivere di rapporti, secondo tappe fondamentali che passano dal riconoscere al sacrificarsi per l’altro. La nostra identità più vera, i nostri cromosomi sono quelli della relazione. Ecco quindi l’incredibile valore delle parole, la necessità di restare sempre aperti alla possibilità di ricominciare, la qualità marcatamente cristiana della gioia (un prete che non è contento non è un bravo prete, un maestro che non è contento non è un bravo maestro), l’apertura all’Infinito. Tre: l’amicizia. Risponde ai bisogni fondamentali dell’uomo, si costruisce man mano, educa alla tolleranza. Di nuovo Aceti apre il confronto tra ieri e oggi: amicizie virtuali hanno sostituito quelle reali, relazioni ballerine prendono il posto di quelle durature, le emozioni non soddisfano i bisogni, l’amicizia vive l’istante e non contiene l’infinito. E allora che fare per tornare a parlarsi tra giovani e adulti? Mandare a monte
i pregiudizi, proporre loro la profondità di quel che si è, non servire schemi che non gli fanno né caldo né freddo.
Far crescere vuol dire essere degni d’ascolto, tollerare gli errori, far provare la gioia del successo, evitare l’indifferenza (se non si litiga non si vuol bene, e non solo in casa). Basta. Ce ne sono state anche troppe di provocazioni questa sera. Mi frugo in tasca, ci trovo qualche frase buttata lì tra il serio e il giocoso da Ezio Aceti (Non devo scimiottare i giovani / Devo amare i figli per quello che sono / Non stroncare i giovani dichiarandoli falliti: non esistono buoni o cattivi caratteri) e vado verso casa contento. Alla fine dell’incontro ci ha promesso che ce la faremo perché “proveniamo da Dio, e Dio è amore”. E non è poca cosa pensarlo.
Ottavio Sosio per IL SETTIMANALE (#7 del 13/02/2020)