A voi tutti che abitate la Città di Como.
Un compleanno
La riflessione che, come vostro vescovo, rivolgo a voi tutti, abitanti di Como, si sviluppa, quest’anno, a partire da un felice anniversario, che non vorrei passasse sotto silenzio, perché non riguarda solo il mondo ecclesiale, ma tutti gli abitanti, dal momento che il cristianesimo, nella sua forma pubblica e con le sue istituzioni, rappresenta ancora un elemento prezioso nella configurazione dell’identità culturale della nostra Città e dei suoi abitanti. Si tratta dei duecento anni di presenza del Monastero di vita contemplativa alla Visitazione, che si trova in via Briantea, in Città: un luogo di silenzio, di intercessione, di ascolto, a cui non pochi comaschi ricorrono, soprattutto nei momenti di difficoltà.
Pregare per vivere
Nel corso di duecento anni di presenza a Como, si sono succedute circa duecentosettanta sorelle, mentre a tutt’oggi vivono alla Visitazione tredici monache, e non solo anziane, come purtroppo spesso capita attualmente nei conventi. Alcune di esse sono ancora giovani e anche laureate, una addirittura in fisica, un’altra, prima di essere raggiunta dalla chiamata del Signore alla vita contemplativa, aveva iniziato gli studi giuridici. Vivono in vita fraterna, in un rispettoso amore reciproco, in tutta semplicità, in piena discrezione, immerse nella intercessione e nella lode, in continuo ascolto e nella ricerca di Dio. Sono un modello e uno stimolo per noi, che nelle nostre giornate facciamo fatica a concederci spazi di silenzio, a fermarci per pause di riflessione e di raccoglimento, che sarebbero invece una buona terapia per vivere gli avvenimenti con equilibrio, con un sano realismo e magari anche con un pizzico di umorismo! Spesso le
nostre giornate, con le scadenze, le urgenze, i vari impegni, ci rendono frenetici, ansiosi, sempre pieni di fretta, così da non saper trovare il tempo per l’ascolto degli altri, tanto meno per Dio. Ci lasciamo dominare dalle circostanze, fino a correre senza sosta tutto il giorno e spesso dietro a tante urgenze, che poi si rivelano secondarie se non inutili, dimenticando invece i volti di quanti ci sono vicini, a partire dai propri figli.
Cercare Colui che ci cerca
Anche chi vive per vocazione la vita contemplativa non ha Dio a portata di mano: Egli si lascia tuttavia trovare da chi lo cerca e si lascia conoscere da chi lo ama. è una ricerca appassionata e impegnativa. E anche in monastero ciascuno conosce le proprie fatiche, perché la risposta di Dio non è mai assicurata né automatica. Queste nostre sorelle sono come noi: persone in ricerca per trovare in Dio la risposta alle tante domande di senso, di fronte ai grandi e spesso drammatici interrogativi della vita. In questo ci assomigliano. Tuttavia esse, a differenza nostra, persistono con fede nell’attesa e giungono a sperimentare la pace e la gioia del cuore, come frutto di chi confida in Dio, anche nei tempi di fatica e di lotta. Di quanta pace interiore e di quanta serenità l’uomo contemporaneo ha bisogno, come l’aria per respirare! È auspicabile, visto il clima che respiriamo, fondato spesso sulla rabbia e sulla rivalsa, che impariamo a recuperare quanto prima la mitezza, che al contrario di quanti molti credono, è una virtù dei forti, non un segno di debolezza!
Oranti per professione
Il monastero della Visitazione è un luogo di intercessione: una preghiera incessante viene innalzata al Padre misericordioso per mezzo di Gesù, nello Spirito Santo, a nome e a favore di tanti fratelli e sorelle, di tutte le categorie sociali. Sono numerosi i comaschi: semplici cittadini, uomini e donne, professionisti, casalinghe e persone di cultura, membri di comunità cristiane, che si affidano alla preghiera di queste monache, che presentano al Signore casi pietosi, drammi umani, situazioni a volte difficili e problematiche, che richiedono di essere affidate a Dio. Un grido sale a Dio per la salvezza degli uomini che ricorrono a Lui attraverso queste nostre sorelle. Esse ci aiutano ad avere la consapevolezza di essere nelle mani di qualcun Altro, come se Dio li custodisse nel proprio cuore.
Con un cuore che ascolta
Il monastero della Visitazione è pure un luogo di largo ascolto, di piena accoglienza. Spesse volte giungono in monastero persone di ogni categorie sociale e di tutte le condizioni. Uomini e donne che hanno grossi nodi da sciogliere, conflitti di coscienza, in ricerca di Dio, bisognose di recuperare pace e serenità, nostri fratelli e sorelle in umanità che sperimentano la solitudine e cercano qualcuno che li accolga e li ascolti. Questa è una fotografia realistica della nostra Città, che riflette la condizione ordinaria di tante persone, con vuoti d’amore da riempire, con amori falliti, con colpe inespresse, desiderose di sapersi accolte e perdonate, così come sono.
Guardare in alto per vedere chiaro in basso
Vorrei aggiungere, per amore del vero, contro un luogo comune, difficile da sfatare, che queste monache contemplative non sono per nulla estranee dal nostro mondo, non sono sradicate dalla storia attuale, dalle crisi nelle quali siamo immersi. Non vivono in un mondo appartato. Alcuni monasteri d’Italia hanno avuto persino il coraggio e l’umile audacia, nel mese scorso, di scrivere alle supreme autorità italiane lettere di questo tono: “Esprimiamo preoccupazione per il diffondersi in Italia di sentimenti di intolleranza, rifiuto e violenta discriminazione nei confronti dei migranti e rifugiati che cercano nelle nostre terre accoglienza e protezione. Chiediamo che le istituzioni governative si facciano garanti della loro dignità, contribuiscano a percorsi di integrazione e li tutelino dall’insorgere del razzismo e dalla mentalità che li considera solo un ostacolo al benessere nazionale”. Parole molto eloquenti e dirette, espresse, senza mezzi termini, da persone che sembrano provenire da un altro mondo, ma che invece vedono e interpretano la storia e l’umanità da un’altra prospettiva, attraverso uno sguardo contemplativo, ossia con
gli occhi e con il cuore stesso di Dio. Una mentalità contemplativa verso cui ciascuno dovrebbe tendere e sulla quale vorrei ora intrattenervi.
Per affinare lo sguardo
Ecco giustificato il tema del mio intervento: “Contemplativi nella Città”. Non che dobbiamo tutti farci monaci, ma acquistare occhi nuovi, e quindi un cuore nuovo, per imparare a riconoscere la visita di Dio dentro la nostra Città, accogliendo i suoi abitanti, nessuno escluso, anche i più poveri, con lo stesso sguardo d’amore e di benevolenza con cui Dio li vede.
C’è posto per Dio in Città?
Tutto nasce dalla consapevolezza che Dio abita la Città, la ama e veglia sui suoi abitanti. Il cuore del popolo che vive in Città è abitato dalla consapevolezza della passione di Dio per i suoi figli, anche se non lo vediamo, anche se apparentemente sembra assente, anche se la cultura attuale tende ad ignorarlo. Il dramma dell’uomo contemporaneo, che è poi il grande sogno della modernità, che dura ormai da alcuni secoli, è il tentativo di escludere Dio, di considerarlo irrilevante e inutile, con la presunzione di offrire una risposta, attinta unicamente al limitato orizzonte della sapienza umana, al desiderio di una vita bella, buona e felice. Come se l’uomo, da solo, con il potere della tecnica, fosse il vero padrone del mondo e potesse fornire risposte appropriate e soddisfacenti alle grande domande e risolvere autonomamente gli ineliminabili interrogativi della vita, del dolore e della morte. Nella nostra società, definita da un sociologo “liquida”, è
nato un ordine interamente umano, dove non si vorrebbero riconoscere i valori fondamentali della vita, rendendo tutto discutibile, tutto provvisorio, tutto autonomamente generato dall’uomo, a suo piacimento.
Per una società a misura d’uomo
Sono in molti, tuttavia, quelli che affermano che ancor prima della crisi economica e politica, in cui siamo drammaticamente avvolti, la società odierna sta patendo una grande crisi spirituale.
L’uomo non può essere centro di se stesso, né la sapienza né la scienza, con le loro preziose acquisizioni, da sole sono in grado di indicare il senso compiuto dell’esistenza. Se si elimina Dio, e con lui tutti i valori, nel nome della libertà individuale, resta il nulla e allora l’unica cosa che conta si riduce alla felicità quotidiana, temporanea ed evanescente. Purtroppo conosciamo i frutti amari di questa cultura. Ne pagano le conseguenze i più fragili, i più esposti: i giovani, soprattutto, feriti dalle sconfitte della propria storia, dai desideri frustrati, dai sensi di colpa per aver sbagliato.
La dimensione spirituale della vita
Ecco allora l’invito a riflettere sulla necessità di recuperare la dimensione spirituale della vita, che obbliga a uno sguardo contemplativo anche sulla realtà della nostra Città, per andare al di là delle sole apparenze. Non basta lasciarsi convincere dalla emotività, frutto di una facile propaganda, occorre piuttosto imparare a vedere “con gli occhi del cuore”, le situazioni, anche le più dolorose e drammatiche della nostra gente.
La dimensione contemplativa della vita conduce a guardare le persone come Dio Padre le considera, nella loro verità di figli amati. Ossia con un cuore che accoglie, perdona e rimette in cammino, con tenerezza e amore. Lo sguardo contemplativo ci consente anche di riconoscere le persone come risorsa preziosa nel nostro cammino e non come dei concorrenti, o peggio, nemici. Le persone, nella loro singolarità, non possono essere considerate come pericolose e a noi avverse, solamente perché a nostro parere disturbano il nostro quieto vivere o deturpano l’ambiente in cui viviamo.
Dio abita la nostra Città
Lo sguardo contemplativo conduce a scoprire Dio che abita la nostra città, le nostre piazze, le nostre strade, negli ambienti di vita in cui la gente soffre di solitudine, la vera grave malattia del nostro tempo. Tra le forme di povertà esiste pure quella di essere incapaci nell’intessere relazioni. La riservatezza, che ci caratterizza come comaschi, corre il rischio di non favorire tali relazioni amichevoli e solidali, capaci di promuovere il bene comune, né di maturare un rapporto adulto e profondo, tale che una persona possa contare sulla libera accoglienza degli altri, e che nello stesso tempo si senta però rispettata nella sua singolarità.
I fratelli non si scelgono
Conosciamo veramente le diverse forme di povertà, presenti nella nostra Città? Sono quelle che affliggono gli anziani, i disabili, i malati, i migranti, i drogati. E nemmeno possiamo ignorare le famiglie in povertà, prive di lavoro stabile, e in difficoltà ad accompagnare i figli nel loro cammino di vita. Che dire poi delle numerose famiglie disintegrate, dove i figli sono i primi a pagarne le conseguenze? Un forte grido di aiuto, di vicinanza, di solidarietà, proviene da questa umanità, molto spesso frustrata dalla nostra indifferenza. Lo sguardo contemplativo ci fa posare gli occhi su queste persone, che non sono solo casi da affrontare o problemi da risolvere, ma prima di tutto figli di Dio e perciò fratelli e sorelle nostri. E proprio perché i fratelli non si scelgono, ma ci sono donati, tocca a noi accoglierli con tenerezza, riconoscendo la felice opportunità che ci è offerta per amare, l’onore che ci è concesso di poterli servire, tanto più se poveri, emarginati e
isolati.
Una domanda inquietante
Dio guarda tutti con uno sguardo compassionevole e paziente, ma provoca e scuote la nostra indifferenza, ormai abituati e resi insensibili alle tante fatiche e alle sofferenze degli altri. Egli ci rimanda a una domanda inquietante: “Che ne hai fatto dei tuoi fratelli e sorelle in umanità?”. è un interrogativo che, presto o tardi, ci sarà rivolto e che non potremo eludere.
Tutti insieme per una vicinanza solidale
Le parrocchie cittadine sono in prima linea interessate per contribuire a dare alla nostra Città un volto sempre più umano e fraterno, promuovendo processi di apertura e di solidarietà per una vicinanza amica e solidale verso tutti, compresi quanti si sentono esclusi. Confido che anche le diverse istituzioni civili, le numerose strutture di volontariato, come tutti gli uomini di buona
volontà, siano anch’esse risolute nell’ andare oltre visioni parziali e di parte, per restituire e promuovere nella nostra Città la sua originaria bellezza, frutto di un primato della vita spirituale, capace di ricuperare nella sua pienezza l’umano e di promuovere i valori del Regno di Dio, già presenti nella storia dell’umanità.
Come il lievito…
Un piccolo convento di clausura, nascosto, come uno scrigno, nel cuore della nostra Città, ci ha portato molto lontano, non ci ha tuttavia fatto chiudere gli occhi sul presente o evadere dalla realtà. Piuttosto, ci ha insegnato a guardare dall’alto, con occhi semplici, in una prospettiva di eternità, da dove si può ripartire perché l’uomo abbia una vita più piena e costruisca una società più umana.
+ Oscar Cantoni
Como – Basilica di Sant’Abbondio – 30 agosto 2019