“Viviamo in uno stato di perenne tensione, perché nella nostra mente sappiamo che da qualche parte in qualche momento vi sarà un altro attacco. Anche se nessuno sa dove e quando”. Le parole del cardinale Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi, in Pakistan, che introducono il rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre, danno contezza di cosa significhi essere uno dei 300 milioni di cristiani che vivono in terre di persecuzione. Prendere parte ad una messa, animare gli eventi e le attività pastorali di una comunità cristiana, esporre simboli religiosi o più semplicemente professare la propria fede diventano atti che possono mettere a repentaglio la propria libertà e perfino la propria vita in oltre 20 Paesi del mondo che ospitano 4 miliardi di persone.
Persecuzione multiforme
“La persecuzione religiosa può assumere molte forme”, scrive ancora il porporato, “può tradursi nei brutali attacchi compiuti dal sedicente Stato islamico (Isis) in Iraq e in Siria contro cristiani e yazidi, oppure può assumere forme più subdole quali discriminazioni, minacce, estorsioni, rapimenti e conversioni forzate, negazione dei diritti o limitazione delle libertà”. Il cardinale Coutts si sofferma in particolare sulla situazione nella Repubblica Islamica del Pakistan, dove i cristiani sono una piccola minoranza in una vasta popolazione di oltre 200 milioni di abitanti. “Nel corso degli anni – racconta – abbiamo affrontato tutto quanto appena descritto. Ma anche nei momenti più difficili abbiamo sempre trovato forza nell’incoraggiamento e nel sostegno offertoci da Aiuto alla Chiesa che Soffre”.
Le persecuzioni tra il 2017 e il 2019
La Fondazione di diritto pontificio vuole dare voce a tutti i cristiani oppressi tramite il nuovo rapporto “Perseguitati più che mai. Focus sulla persecuzione anticristiana tra il 2017 e il 2019”, presentato stamattina a Roma nella basilica di San Bartolomeo all’Isola. Un testo che esamina gli sviluppi più significativi nei territori che destano maggiore preoccupazione a causa delle violazioni dei diritti umani subite dai cristiani, negli ultimi due anni.
Peggiorano le condizioni in Burkina Faso e Sri Lanka
Nel periodo in esame, la situazione è tutt’altro che migliorata e la lista dei Paesi in cui i cristiani soffrono si arricchisce di nazioni quali Camerun, Burkina Faso e Sri Lanka. Gli ultimi due rappresentano per il direttore di ACS, Alessandro Monteduro, gli esempi più drammatici di questo mutato scenario della persecuzione anticristiana che trova nuove forme e nuove territori anche in virtù dell’inadeguatezza delle strategie finora messe in campo.
Monteduro: non basta una risposta militare
“Anche se necessaria non basta la risposta militare” spiega a VaticanNews Monteduro, riferendo del trasferimento di jihadisti dell’Isis, sconfitti nel nord dell’Iraq e in gran parte della Siria, in altre aree del mondo, innanzitutto in Africa e in Asia meridionale e orientale:
R. – Il trend principale che emerge è che purtroppo la risposta militare, per quanto necessaria, non è sufficiente. Dico questo perché se hanno potuto tirare un respiro di sollievo le comunità cristiane che hanno sofferto un’immane persecuzione dal 2014 al 2017 nel Medio Oriente, in particolare nel nord dell’Iraq e in ampie aree della Siria, quella reazione militare ha fatto sì che si determinasse un trasferimento, una migrazione di quella ideologia politico-religiosa deviata che ha ispirato l’azione del Daesh nel nord dell’Iraq, nella piana di Ninive, e addirittura una migrazione di alcuni dei terroristi che hanno preferito abbandonare il campo di battaglia e trovare rifugio in altri Paesi. Dove sono migrati? Non, come siamo soliti raccontare, lungo i confini europei, perché ci sono apparati di sicurezza adeguati tali da impedire l’arrivo di questo genere di figure. Sono viceversa andati e hanno attecchito in aree del mondo, in modo particolare l’Africa subsahariana e l’Asia meridionale e orientale, dove già dal 2015, attraverso una serie di azioni, per esempio l’apertura di scuole coraniche e l’attivazione di campi militari di addestramento, già dal 2015 si era creato quel terreno fertile. Allora, ci siamo ritrovati a raccontare attraverso questo focus ciò che era inimmaginabile fino a due anni fa, vale a dire: Paesi come Burkina Faso o Sri Lanka vittime di una persecuzione in odio alla fede.
In Africa si acuisce il fondamentalismo
È soprattutto l’Africa infatti il nuovo fronte del fondamentalismo islamico, come testimonia il fatto che dei 17 sacerdoti e una religiosa uccisi nel mondo nel 2019, ben 14 sono stati assassinati in questo continente. Nel periodo preso in esame è precipitata la situazione in Burkina Faso. Solo nei primi sei mesi del 2019 sono stati uccisi 20 cristiani, tra cui 6 sacerdoti e un pastore. Il sacerdote burkinabé don Roger Kologo è intervenuto alla presentazione del rapporto per offrire la sua testimonianza: “E’ in atto una vera e propria caccia ai cristiani, i quali vengono colpiti durante processioni ed espressioni della loro fede e perfino raggiunti nelle loro case e giustiziati”. Il sacerdote ha riassunto la tragica escalation di attacchi anticristiani iniziata proprio dalla sua diocesi, quella di Dori, lo scorso Venerdì Santo e parlato del suo amico don Joel Yougbare, rapito lo scorso 17 marzo: “La sera prima del sequestro abbiamo cenato insieme. Mi aveva detto che sarebbe andato a visitare una comunità in un’area remota. Sapeva che era rischioso, i jihadisti lo tenevano d’occhio e più volte l’avevano seguito, ma lui non voleva abbandonare i suoi fedeli”.
Dallo Sri Lanka le reliquie della strage di Pasqua
Molto toccante è stata anche la testimonianza del rettore del Santuario di Sant’Antonio a Colombo, don K.A. Jude Raj Fernando, che ha raccontato i tragici momenti in cui la sua chiesa è stata attaccata nella domenica della scorsa Pasqua: “Ho visto i miei fedeli morti, sanguinanti e mi sono chiesto: Dio mio perché?”. Ora don Ferdinando è impegnato ad accudire e educare gli orfani di quella strage e a rinsaldare la fede dei superstiti e dei parenti delle vittime. “Nonostante la grave ferita infertaci – ha aggiunto – restiamo saldi nella nostra fede che ci consente di perdonare i nostri persecutori. Perdoniamo ma continuiamo a chiedere giustizia per le nostre vittime”. Al termine del suo intervento, don Jude Raj Fernando ha donato le reliquie delle vittime dell’eccidio di Pasqua alla basilica di San Bartolomeo all’Isola, tra gli oggetti contenuti in una teca anche il biberon di uno dei 48 bambini che hanno perso la vita nell’attacco.
Proseguono le persecuzioni politiche
Non esiste solo il terrorismo di matrice islamica, ad esempio in India in questi ultimi due anni si sono registrati oltre 1000 attacchi e oltre 100 chiese distrutte da parte degli estremisti indù. C’è poi la persecuzione politica e governativa. Anche le migliorate relazioni diplomatiche tra i capi delle nazioni occidentali e i loro omologhi di governi, come quelli della Corea del Nord o della Cina, non devono far pensare a miglioramenti delle condizioni dei cristiani in tali aree, come notato nel suo intervento da Alfredo Mantovano, presidente di ACS-Italia: “Non dobbiamo illuderci che all’eventuale riduzione delle reciproche dotazioni di armamenti, o ai trattati di cooperazione economica corrisponda, all’interno dei confini, un allentamento della persecuzione religiosa”. Secondo diverse stime tra i 50mila e i 70mila detenuti nei campi di detenzione della Corea del Nord sono cristiani perseguitati per la loro fede che subiscono ogni forma di maltrattamento, compresi omicidi extra giudiziali.
Sandri: agevolare il ritorno dei cristiani in Medio Oriente
L’evento è stato impreziosito dall’intervento del cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, che ai microfoni di VaticanNews ha parlato della situazione dei cristiani in Medio Oriente e dell’impegno della Chiesa nell’aiutarli a rimanere nei loro Paesi d’origine:
R. – In queste nostre regioni – e mi riferisco soprattutto all’Iraq e alla Siria – c’è ancora la sofferenza di molte popolazioni, il ritorno in qualche caso dei cristiani ma soprattutto la grande preoccupazione per l’esodo dei cristiani… Si può anche temere un nuovo Medio Oriente senza i cristiani, cosa che è stata denunciata da Papa Francesco come completamente contraria alla storia di quella regione. Quindi speriamo che dopo la caduta dello Stato islamico veramente arrivi un momento di pace. Comunque i cristiani sono ancora “pre-perseguitati” perché si trovano senza le condizioni minime per essere riconosciuti come cittadini di questi Paesi con tutti i diritti e i doveri, e molti sono obbligati a migrare per l’insicurezza o per la mancanza di lavoro.
Quindi difendere i cristiani significa difendere la stabilità del Medio Oriente?
R. – La stabilità e l’equilibrio. Questi Paesi sono a maggioranza musulmani, ma la presenza cristiana è sempre stata una presenza che portava un momento di equilibrio perché la vita della Chiesa è volta soprattutto a cercare la gloria di Dio, ma soprattutto a manifestarla nel servizio ai fratelli e questa è una caratteristica cristiana che si caratterizza in Paesi a maggioranza musulmana e che si manifesta anche come un momento di equilibrio sociale per tutto il Paese.
I cristiani possono fare ritorno in alcuni territori ma c’è sempre il timore di nuove persecuzioni?
R. – Devo dire che il ritorno dei cristiani in alcuni casi si sta realizzando, soprattutto a Qaraqosh, nel Kurdistan iracheno, e c’è anche qualche piccolo segnale anche a Mosul. Ma ovviamente si tratta di movimenti per ora molto piccoli. A Qaraqosh, per esempio, so che sono tornati i siro-cattolici. Qaraqosh è la loro città principale.
C’è anche bisogno di uno sforzo per dare pieni diritti civili ai cristiani in alcuni Paesi del Medio Oriente che ancora non li concedono?
R. – Certamente, è quello che i nostri pastori orientali hanno manifestato tante volte e anche il Santo Padre lo ha espresso in alcuni suoi discorsi. I cristiani non sono cittadini per concessione, per misericordia, per tolleranza: vogliono essere cittadini a pieno titolo. In tutti questi Paesi, pur essendo piccole realtà dal punto di vista numerico, amano la loro patria e contribuiscono al benessere e all’elevazione sociale di tutta la popolazione. E lo vediamo in tanti Paesi attraverso i missionari, cioè i sacerdoti delle diverse Chiese, e poi attraverso le religiose e i laici. Vediamo anche un impegno da parte della comunità cattolica del mondo attraverso le opere di aiuto a queste Chiese.
Marco Guerra – Città del Vaticano (www.vaticanews.va)