Nei giorni scorsi il Vescovo monsignor Oscar Cantoni ha firmato il decreto inerente «L’assoluzione a più penitenti senza previa confessione individuale» (allegato a questa mail). Si tratta di una situazione eccezionale, già prevista dal Codice di diritto Canonico, a cui è possibile far ricorso in questo periodo nel quale la diffusione del Coronavirus rende difficile, se non impossibile, recarsi in chiesa e accostarsi al sacramento della penitenza. Il 19 marzo la Penitenzieria apostolica aveva pubblicato un decreto, in vigore, che prevede l’assoluzione per i malati di Covid-19 e per il personale sanitario che si prende cura dei pazienti all’interno delle strutture ospedaliere. In una Nota si rimandavano al vescovo diocesano le decisioni circa l’applicazione sul territorio della diocesi a lui affidata.
«Nel decreto di monsignor Cantoni – ci spiega il vicecancelliere don Marco Nogara – si descrivono quattro eventualità che possono darsi quando è impossibile ricorrere alla confessione sacramentale individuale, che continua a costituire l’unico modo ordinario con cui il fedele, consapevole di peccato grave, è riconciliato con Dio e con la Chiesa. Partiamo dall’ultima. Si tratta del caso più comune, che riguarda la maggior parte dei fedeli e propone il cosiddetto il “votum confessionis”, così come previsto dall’articolo 1452 del Catechismo della Chiesa Cattolica. Trovandosi nell’impossibilità di confessarsi, il fedele, sinceramente pentito dei propri peccati e con il proposito di accostarsi al sacramento della riconciliazione non appena gli sarà possibile, riceve l’assoluzione dei peccati, anche quelli mortali».
Le fattispecie “A”,”B”,”C” del Decreto, invece, rappresentano situazioni particolari. «Nel primo caso possono impartire l’assoluzione a più persone i sacerdoti assistenti religiosi presso le strutture, i presidi ospedalieri, le case di cura. Possono farlo quando i pazienti siano in pericolo di vita e la collocazione degli ammalati è tale
da non assicurare il segreto della confessione e il rispetto delle disposizioni sanitarie di sicurezza».
La seconda fattispecie conferisce la facoltà di assolvere più penitenti ai sacerdoti assistenti religiosi di «RSA, Case di riposo, RSSA» e, qualora queste strutture non avessero un proprio cappellano, al parroco della parrocchia nel cui territorio le strutture appena ricordate sono situate. Come per il punto “A”, le persone devono trovarsi in una situazione di pericolo di vita e non è possibile garantire il segreto della confessione nel rispetto delle norme igienico-sanitarie.
La lettera “C” si rivolge, invece, ai parroci e contempla la situazione in cui improvvisamente, all’interno di una determinata comunità che ha sede nella parrocchia a lui affidata, si manifesti una grave necessità e il pericolo di vita è causato dal contagio da Covid-19. Per “comunità” il Vescovo intende sia una comunità religiosa, sia una comunità di accoglienza o terapeutica (al cui interno vivono alcuni fedeli) o anche un nucleo familiare. In determinati casi, infatti, può accadere che i membri di una comunità siano impossibilitati a uscire per motivi individuati dalle disposizioni delle autorità civili. Il parroco può assolvere avvertendo in anticipo il Vescovo o, in caso di difficoltà nel contattarlo o di emergenza assoluta, subito dopo.
«Non bisogna dimenticare che si tratta sempre di situazioni di eccezionalità – osserva don Nogara – e l’indicazione generale nei casi di impossibilità fisica o morale è quella di ricorrere al fermo proposito di confessarsi appena possibile». Non si tratta, dunque, «di eliminare la confessione individuale sacramentale, ma di esprimere in altro modo l’azione misericordiosa di Dio in questo particolare frangente storico. Al di sopra di tutto, infatti, c’è l’esperienza della misericordia di Dio che ci abbraccia e ci consola in qualsiasi circostanza della vita. In questo momento di incertezza, di paura e di disorientamento, sappiamo che veramente la Santissima Trinità è con noi e ci dona il balsamo del suo amore attraverso il perdono», è la conclusione di don Marco.