Le esequie solenni dei giovani militari del Soccorso Alpino della Guardia di Finanza Simone Giacomelli, Luca Piani e Alessandro Pozzi, morti tragicamente mercoledì 29 maggio in Valmasino, sono state celebrate lunedì 3 giugno alle ore 15.00 nella Collegiata dei Santi Gervasio e Protasio di Bormio (So).
I funerali sono stati presieduti dal Vescovo di Como, cardinale Oscar Cantoni, e concelebrati dall’Ordinario militare monsignor Santo Marcianò, che ha tenuto l’omelia.
SALUTO INTRODUTTIVO DELL’ARCIPRETE DI BORMIO, DON FABIO FORNERA
A nome delle parrocchie di Bormio e della Valfurva, a nome di tutto il vicariato, rivolgo un saluto cordiale al nostro Vescovo, cardinale Oscar Cantoni, al vescovo monsignor Santo Marcianò, Ordinario militare, a tutti i confratelli. A tutte le autorità civili e militari qui convenute. Ai colleghi della Guardia di Finanza e del Soccorso Alpino. Agli amici della montagna.
Ma soprattutto abbracciamo le famiglie e gli amici dei nostri cari Alessandro, Simone e Luca, a cui vogliamo stringerci forte con affetto sincero. Abbiamo già provato a farlo in questi lunghi giorni di attesa, ma vorremmo fosse più profondo ancora, se possibile, più di sollievo.
Un saluto cordiale a ciascuno di voi qui presenti o connessi da lontano per la preghiera, in particolare agli amati giovani.
Credenti o meno, siamo tutti feriti dalla tragedia di questi tre amici, siamo tutti carichi di lacrime, di domande, di ricerca di senso. È come se una parte di noi fosse strappata via all’improvviso.
Proviamo a prenderci cura l’uno delle ferite dell’altro.
Proviamo ad ascoltare cosa c’è nel profondo del cuore, a balbettarlo insieme.
Proviamo ad ascoltare la Scrittura, Parola del Signore.
Proviamo a lasciarci medicare dalla presenza di Dio in mezzo a noi, (che in Cristo ha scelto di condividere la nostra sofferenza).
OMELIA DELL’ORDINARIO MILITARE, MONSIGNOR SANTO MARCIANÒ
Carissimi fratelli e sorelle, è proprio vero quanto San Giovanni Paolo II grida in una Enciclica sul dolore umano:
«All’interno di ogni singola sofferenza provata dall’uomo e, parimenti, alla base dell’intero mondo delle sofferenze appare inevitabilmente l’interrogativo: perché?»[1].
In questi giorni, sconvolti da un dolore straziante e improvviso, lo avete gridato anche voi, cari Mariangela e Luca, Patrizio e Stefania, Simone e Paola; tu Filippo, tu Chiara, tu Francesca, familiari di Alessandro, Luca e Simone assieme ai parenti e agli amici. Lo gridate voi, famiglia della Guardia di Finanza, qui rappresentata da tanti dei suoi uomini e donne, dei suoi vertici, dal Comandante Generale, proprio in un momento in cui avreste desiderato celebrare nella gioia il vostro 250° anniversario. Lo grida la comunità riunita per celebrare l’Eucaristia: il cardinal Cantoni, la Chiesa dell’Ordinariato Militare e la comunità diocesana, con i sacerdoti, i cappellani militari; la comunità nazionale, l’Italia intera, presente con le massime autorità dello Stato, in particolare il signor Ministro dell’Economia, ma anche con tanti cittadini, venuti per condividere il dolore dei familiari, per pregare, per dire grazie!
Un grazie che ci accomuna tutti, come ci accomuna il «perché?» sul dolore e sulla morte, che attraversa i nostri cuori e attraversa la storia umana, di ieri e di oggi; si unisce al “perché” sulla morte di tanti caduti; sulle morti per incidenti, malattie, fame, violenza, guerre… si unisce al perché sul male. Il mondo delle sofferenze è presente in ogni dolore umano, nel nostro dolore; e l’interrogativo sul dolore, come quello sul male – continua Giovanni Paolo II -, sono «difficili, quando l’uomo li pone all’uomo, gli uomini agli uomini, come anche quando l’uomo li pone a Dio»[2]. È grande il mistero del dolore e noi siamo qui e poniamo questa domanda a noi stessi, la poniamo a Dio, sapendo che è difficile trovare una risposta e che non ci sono parole adeguate, c’è solo la vicinanza, la solidarietà.
Nella prima Lettura (1Gv 3,14-16), abbiamo ascoltato alcune parole sulla morte scritte dall’evangelista Giovanni, un apostolo molto vicino a Gesù: «quello che lui amava», l’unico presente sotto la Croce, con la Madre del Signore; l’unico che ha avuto il coraggio di restare, nelle ore buie e strazianti, accanto a Gesù, un giovane, potremmo dire, che moriva ucciso ingiustamente, e che poi ha visto Risorto.
Quella di Giovanni è una Lettera rivolta a tutti: chi crede e chi non crede, chi sta vivendo un tempo di crisi e chi affronta con il dono della fede lo sconforto della morte… E Giovanni – abbiamo visto – non parla per sentito dire ma perché ha sperimentato il dolore per la morte di Gesù, una morte violenta, improvvisa, ingiustificata, dinanzi alla quale anch’egli, certamente, si sarà chiesto: «perché?». Egli non ci offre una risposta preconfezionata, eppure il suo non è un urlo di disperazione ma un grido che apre alla speranza: Cristo è Risorto e ci ha fatti passare dalla morte alla vita eterna e “farà risorgere anche noi con la sua potenza” (1Cor 6,14). E la potenza di Dio è l’Amore; ecco che Giovanni può dire: «siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli». E Gesù: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13).
Da qui la riposta al «Perché?» … Perché amiamo i fratelli!
Dunque, la domanda sul dolore e sulla morte diventa la domanda sulla vita.
È vero, è difficile trovare una risposta e non ci sono parole. Ma se una parola si può dire, se qualcosa può aiutarci a rispondere a questa domanda è proprio la vita di Alessandro, Luca e Simone, giovani straordinari, solari, innamorati della vita e della loro professione. Ciascuno, una vita diversa, una storia diversa, una personalità diversa; ma tutti uniti da un servizio svolto in modo ammirevole, dedito, che ha permeato d’amore l’intera l’esistenza.
Ecco che il perché diventa “per cosa”, ovvero: per cosa viviamo? Noi non sappiamo perché i nostri amici sono morti, sappiamo però perché hanno vissuto; ed è proprio la loro morte che ce lo rivela fino in fondo. Infatti, come definire altrimenti la vita di tre giovani morti mentre si esercitavano per prepararsi a salvare le vite di altri?
A volte, come è stato per loro, ciò per cui viviamo diventa anche ciò per cui moriamo, e, se questo è l’amore, la vita non finisce, non può finire. È proprio vero: la morte diventa vita, se il suo «perché» è l’amore! È l’amore che rende eterni. E loro hanno amato!
Cari amici, la domanda sul dolore, che è la domanda sulla vita, è dunque la domanda sull’amore.
Nella «valle oscura» di cui parla il Salmo 22, questo amore ci raggiunge come una piccola luce, attraverso le pagine del Vangelo (Mt 25, 31-46): «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».
Ogni gesto di amore, di protezione, ogni salvataggio che questi giovani finanzieri hanno effettuato, ogni esercitazione, ogni sacrificio, così come ogni gesto di tenerezza in famiglia, di affetto con gli amici, di condivisione con i colleghi… acquista un valore enorme, di cui forse essi stessi non si sono resi totalmente conto. Addirittura, un amore restituito a Dio, Sorgente vera dell’amore, se pensiamo che Gesù considera come fatto a Sé stesso quanto facciamo per ogni fratello… e ogni volta che lo facciamo. “Lo avete fatto a me”.
Dunque, l’amore non è teoria, l’amore consiste in questo «ogni volta» in cui c’è tutto, perché c’è ogni persona concreta, c’è il fratello da amare, più della propria vita.
È questa la risposta che Alessandro, Luca e Simone hanno dato e danno anche oggi: la loro morte non ha un perché, è vero, ma la loro vita ha avuto non solo un perché, ha avuto un “per chi”.
Se questo è stato possibile è soprattutto per l’amore ricevuto da ciascuno di voi, carissimi familiari; e per l’amore da loro donato a voi nella quotidianità e nel sacrificio, nella difficoltà e nella gioia.
Oggi è uno strazio indicibile, inconsolabile; e noi ci inchiniamo in silenzio dinanzi al vostro dolore, come ci inchiniamo con rispetto e vera gratitudine dinanzi al loro grande sacrificio.
Un sacrificio in cui la Guardia di Finanza ritrova, proprio nel suo 250° anniversario, il senso profondo del proprio esistere a servizio della vita e della gente, della giustizia e della sicurezza. Un sacrificio che parla al nostro Paese e ai suoi responsabili, sfidati sempre a ricentrare ogni decisione sul servizio al bene comune, alla giustizia e all’infinita dignità di ogni persona.
Negli ultimi momenti della sua vita Papa Giovanni XXIII, che moriva esattamente in questo giorno di 61 anni fa, guardava al Crocifisso dicendo: «Egli mi guarda ed io gli parlo»[3].
Inchiniamoci dunque in silenzio dinanzi al mistero di questa croce, lasciamo parlare l’amore, quello che Alessandro, Luca e Simone hanno donato e lasciano come patrimonio custodito nel cuore di voi familiari e di ogni persona per la quale essi hanno lavorato e vissuto, di ogni fratello più piccolo per il quale la loro vita si è consumata, fino alla fine.
Cari familiari, cari amici, pur tra le tante, tantissime lacrime, possiate, possiamo tutti pian piano sentire che questo amore rimane e che consola i nostri cuori gettando luce sulla loro morte. Possiate, possiamo sperimentare che questa morte si è trasformata in vita. Alessandro, Luca e Simone hanno amato e servito i fratelli e vivono in eterno nella pace. Li ringraziamo con tutto il nostro cuore e chiediamo loro di pregare per noi dal cielo.
E così sia!
vescovo Santo Marcianò
[1] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Salvifici Doloris, 9
[2] Ibidem
[3] Cfr. Mario Benigni – Goffredo Zanchi, Giovanni XXIII, San Paolo, 2000, p. 429