Amati fratelli e sorelle: anche oggi sono collegato con voi, che mi seguite dalle vostre famiglie per questa santa liturgia. Idealmente raggiungo tutti i fratelli e sorelle che si prendono cura dei nostri ammalati, nei diversi ospedali del nostro territorio, a partire dall’ospedale s. Anna di Como.
Un segno di affettuosa vicinanza e di profonda stima vorrei indirizzarlo oggi in modo particolare a tutti gli operatori sanitari: dai medici agli infermieri, ma anche a tutte le altre persone coinvolte in ospedale, perchè anch’esse si sentano raggiunti dal ringraziamento, dalla gratitudine e dal sostegno della comunità cristiana.
Li cito, sperando di non tralasciare qualcuno! Mi riferisco a chi si occupa della pulizia e della sanificazione degli ambienti e degli strumenti; a chi si occupa della cucina e della manutenzione delle apparecchiature tecniche dell’ospedale; a chi è impegnato nei trasporti e nelle varie commissioni, ai tecnici di laboratorio e di radiologia; agli operatori socio sanitari (OSS) e al personale ausiliario socio-assistenziale (ASA); e quindi al personale amministrativo; agli assistenti sociali, agli psicologi; ai fisioterapisti/logopedisti, agli uomini della sicurezza. Anche in un ospedale, come nelle altre realtà sociali, è importante e prezioso il ruolo di tutti, nessuno escluso.
Torno ora alla Parola di Dio che oggi la liturgia ci offre. Il Vangelo ci ha appena narrato l’incontro dei due viandanti in cammino da Gerusalemme ad Emmaus, dove il Signore Risorto fa strada con loro. L’evangelista Luca sottolinea che “i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo”. Cleopa e l’altro amico sono il nostro specchio! Anche i nostri occhi, incrostati di mondanità, fanno fatica a riconoscere la presenza del Signore tra noi, soprattutto in questi giorni di incertezza e di dolore. Tuttavia il Signore Gesù ci viene incontro, pronto ad ascoltare i gemiti del cuore di ciascuno, desideroso di manifestare la potenza del suo amore, come con i due discepoli, a cui Egli si rivelerà solo alla fine, allo spezzare del pane.
Potremmo domandarci quale sia stato il “morale” dei due sconsolati pellegrini diretti ad Emmaus e perfino immaginare il ritmo lento dei loro passi, delusi come erano da una esperienza che si era drammaticamente conclusa con la morte in croce del profeta di Nazareth. Chiusi e ottenebrati dalle loro attese, che il Signore rivelerà false, si mostrano profondamente delusi e al viandante che si è unito ad essi come compagno di viaggio, i due discepoli, candidamente confidano: “Noi speravamo”. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele“.
Quanto ci assomigliano questi due pellegrini: lasciano emergere tutta la loro amarezza, che è anche la nostra. Perché anche noi, in questo periodo di pandemia, potremmo dire: “speravamo di essere invincibili, ci illudevamo di essere i padroni del mondo, pronti a reagire davanti ad ogni evenienza ed invece ci riscopriamo tanto vulnerabili e fragili.” I due discepoli accennano sì alle affermazioni delle donne che riferiscono che il loro Maestro è vivo, ma persistono nella loro incredulità. Sono poveri di speranza, che una vera malattia dello spirito. Proprio come afferma Charles Péguy: “E’ sperare la cosa difficile, a voce bassa e vergognosamente. La cosa facile è disperare ed è la grande tentazione” (cfr Il portico del mistero della seconda virtù).
L’oscuro viandante ascolta in silenzio. Beati noi se in questo tempo di incertezza e di smarrimento abbiamo trovato qualcuno disposto ad ascoltarci e se noi siamo riusciti finalmente a confidarci con lui.
Il Signore Gesù li lascia parlare per tutto il tempo necessario e così lascia emergere le loro vere attese, il motivo principale per cui essi avevano seguito il Signore Gesù. Sognavano quel liberatore di cui in quel momento la loro Patria aveva bisogno. La morte di Gesù si è rivelata per loro il fallimento definitivo di questo progetto.
Il Maestro divino, dopo averli bene ascoltati (noi diremmo: dopo averli lasciati “vuotare il sacco”!), interviene puntualmente e con decisione. “Stolti e tardi di cuore” nel non aver saputo interpretare e credere nelle parole dei profeti. E dimostra loro che la passione del Messia era già stata prevista e già in parte anticipata da tanti amici di Dio, che nella loro esistenza hanno prefigurato la sua sofferenza.
Bisognava che il Messia soffrisse e attraversasse perfino la morte per entrare nella sua gloria e attirare tutti gli uomini dietro a sé. “Non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, sottolinea s.Paolo nella seconda lettura, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia” (1Pt 1,18-19). Il Padre con la passione del Cristo, suo Figlio, “non ha sbaragliato il male che si abbatteva su di Lui, ma ha sorretto la sua sofferenza perché il nostro male fosse vinto solo con il bene, perché fosse attraversato fino in fondo dall’amore”, così si esprime papa Francesco.
Intanto che ascoltano, il cuore dei due discepoli riprende ad ardere, avvertono che da Gesù emana un fascino speciale (anche se non possono ancora riconoscerlo nella sua vera identità). Si sentono rianimati, a tal punto che lo invitano a restare loro ospite: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”.
Il Signore ha purificato il loro cuore, li ha aiutati progressivamente a comprendere come fosse necessaria la passione per entrare nella gloria, così che a tavola, rinnovando i doni pasquali, rivissuti nel segno eucaristico, si manifesta, sparendo poi dalla loro vista.
Ed essi ripartono di gran velocità e pieni di gioia verso Gerusalemme per dare l’annuncio agli Undici.
“La vita strappata, distrutta, annientata sulla croce si è risvegliata ed è tornata a pulsare” (Guardini, il Signore). Anche la nostra vita di servizio e di amore donato in questo tempo tornerà a pulsare. Rinnoviamo quindi la fede pasquale e lasciamoci trasformare dall’annuncio gioioso del Risorto. Il Signore Gesù sa come rinnovare la nostra vita e quella della nostra comunità. Egli si impegna a rigenerare in noi la bellezza e a far rinascere la speranza.
Oscar Cantoni + Vescovo