In una società sempre più complessa e globalizzata, la robotizzazione “trascende i limiti fisici e cognitivi umani nei processi decisionali e di regolazione”, promuove l’obiettivo di “ridurre al minimo i costi di produzione e di manodopera”, riduce i pericoli a cui sono esposti i lavoratori, in particolare “nelle industrie potenzialmente pericolose, così come nella polizia e nell’esercito”. Si apre così la riflessione Robotization of life – Ethics in view of new challenges (“Robotizzazione della vita – L’etica in vista delle nuove sfide”), frutto di un gruppo di lavoro ad hoc sulla robotizzazione istituito dalla Comece e guidato dal professor Antonio Autiero, da oggi on line. Nell’acceso dibattito a livello europeo sull’importanza dell’intelligenza artificiale, la Commissione degli episcopati della Ue scende in campo con un documento che anzitutto delinea la cornice della questione e ricorda come l’impiego di robot aiuti anche “il settore medico riconoscendo e individuando malattie attraverso mezzi rapidi, efficaci e standardizzati, compensi handicap con esoscheletri e protesi, consenta l’esecuzione a distanza di interventi chirurgici con un alto grado di accuratezza e precisione.
Vantaggi innegabili a fronte dei quali gli esperti tuttavia osservano che la robotizzazione si è sviluppata all’interno di una cultura che non tollera più i limiti della persona umana quali la riduzione di resistenza fisica e capacità mentali o l’invecchiamento. Si sviluppa insomma nel contesto di una “crisi antropologica” e di messa in discussione dell’identità della persona.
Quale relazione tra scienza ed etica? Si chiedono gli esperti secondo i quali il progresso tecnologico “non deve essere demonizzato o respinto, ma è necessaria un’analisi etica dell’impatto del processo di robotizzazione sull’individuo e sulla società”. Soprattutto di fronte alla tesi di alcuni scienziati e filosofi contemporanei secondo i quali i robot hanno un certo grado di autonomia e, in quanto “soggetti che agiscono” possono essere considerati entro certi limiti “agenti morali” in grado di fare scelte buone o cattive. Il documento evidenzia inoltre che la loro crescente autonomia verrebbe a limitare l’azione umana con un paradosso: più il potere umano sull’ambiente aumenta grazie alle macchine, più gli esseri umani sono privati di azione e controllo con la conseguenza di mettere in discussione la dignità e la centralità della persona umana. “È pertanto necessario – si legge – estendere il principio delle buone relazioni, che in precedenza regolavano l’interazione umana con la natura e altri esseri umani, per includevi i robot”. Ma occorre tenere conto del principio della “creaturalità”: le persone umane, nella loro libertà e nell’imprevedibilità della natura sono creature di Dio; i robot, invece, sono costruiti e programmati dagli umani. Ma soprattutto, a governare la relazione tra umani e macchine è il primato e la dignità della persona umana, responsabile nel dare ordine e significato al creato.
Il robot non è capace di questo, può solo seguire le procedure per le quali è stato programmato.
Il Parlamento europeo ha di recente approvato una Resolution on Civil Law Rules on Robotics che propone di attribuire status di “persone elettroniche” ai robot più sofisticati e autonomi, responsabili di risarcire i danni che potrebbero causare, e raccomanda che la “personalità elettronica” sia applicata ai robot che assumono decisioni autonome o interagiscono con terze parti in modo indipendente, ma per il Gruppo di esperti “la costruzione di uno statuto legale per i robot non è convincente”, e collocarli allo stesso livello delle persone umane “è in contrasto con l’art. 6 della Dichiarazione universale sui diritti umani, che afferma l’uguaglianza di ogni persona davanti alla legge”.
(di Giovanna Pasqualin Traversa)