La mia presenza oggi qui vuole testimoniare la vicinanza e il sincero affetto della comunità cristiana per tutti voi malati, ricoverati in questo ospedale, e insieme manifestare la riconoscenza e la gratitudine per quanti se ne prendono cura, ossia verso tutto il complesso e articolato mondo sanitario. Insieme vorrei ricordare anche i sacerdoti cappellani dell’ospedale, per vocazione sempre al fianco di chi soffre.
Durante questa Eucaristia vogliamo affidare al Signore nella preghiera gli oltre 150 medici e infermieri defunti in questo periodo in Italia perché contagiati dalla epidemia del corona virus, insieme al centinaio di sacerdoti, religiosi e religiose che anch’ essi hanno dato la vita in questo periodo, assistendo spiritualmente gli ammalati.
Ci rendiamo conto di essere ùn’ unica famiglia, tutti esposti a fragilità, però gli uni a servizio degli altri, una comunità dove si cammina insieme e si affrontano insieme con responsabilità diverse le situazioni anche molto difficili e dolorose. Non possiamo fare a meno gli uni degli altri, l’apporto di ciascuno è indispensabile, le responsabilità sono condivise. Siamo vicini gli uni gli altri e insieme ci aiutiamo e ci confortiamo, contando sulla presenza viva del Signore Gesù che cammina con noi, ci sostiene e ci conforta.
La comunità cristiana non è estranea a questa situazione di prova e di sofferenza, anzi è pienamente coinvolta nel condividere le fatiche di ciascuno, nel venire incontro alle
diverse persone che soffrono, che vivono in solitudine, che faticano a livello fisico, spirituale e anche a livello economico.
Per arrivare a tutti, i nostri sacerdoti, nelle nostre parrocchie, hanno cercato ogni forma anche nuova di comunicazione, usando le tecniche offerte dai moderni web.
Si è sprigionata in questo periodo la “fantasia della carità”, che inventa sempre nuove vie pur di venire incontro e di far sperimentare la vicinanza fraterna e la solidarietà che caratterizza la vita della comunità cristiana dentro le singole parrocchie, ma anche dentro le singole case, perché nessuno si senta solo, e goda del conforto, della vicinanza e della solidarietà dei fratelli.
Nella lettura degli Atti degli Apostoli abbiamo ascoltato che al sorgere di una violenta persecuzione i primi cristiani sono stati cacciati da Gerusalemme. “quelli però che si erano dispersi, andarono di luogo in luogo annunciando la Parola”. In questo periodo non abbiamo potuto utilizzare le chiese, ma intanto abbiamo propagato la Parola di Dio diffondendola nelle case, aiutando le famiglie a divenire una piccola chiesa domestica.
Nel Vangelo di oggi Gesù si presenta come colui che è stato mandato dal Padre suo perché gli uomini abbiano la vita, una vita senza fine, perché godano la pienezza della vita. “Perché chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna”.
È venuto il tempo di pensare che l’uomo non vive di solo pane (non è solo un essere materiale, destinato alla morte), occorre allargare gli orizzonti, e credere che Dio ci ha creati a sua
immagine, per una vita piena, per un progresso della nostra umanità. Anche l’esperienza del dolore, nostro e degli altri, dovrebbe farci crescere ulteriormente in una umanità finora non pienamente valorizzata, che abbraccia il fisico, lo psichico e insieme lo spirituale.
Dare senso alla vita, domandarsi per chi si vive e credere che il piano di Dio abbraccia orizzonti che ci sorpassano: sono forse domande che interpellano e che vengono alla memoria del cuore ogni volta che siamo in una situazione di debolezza e di fragilità. In quanto figli, siamo chiamati a una vita senza fine, che è pienezza d’amore con i nostri fratelli, ma anche con Dio che è padre di tutti.
Questa comunione con il Signore già la anticipiamo con l’Eucaristia, pane di vita e farmaco di immortalità, ma un giorno ne godremo in pienezza, nei “cieli nuovi e terra nuova” che il Signore ci ha conquistato con la sua morte in croce e risurrezione. Da qui il nostro grazie, avvalorato da questa Eucaristia che stiamo celebrando.