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Cari fratelli e sorelle, vi accolgo tutti con grande gioia nella nostra Cattedrale, dove siete giunti numerosi, come ogni anno.
Soprattutto per i sacerdoti e i diaconi è un “bisogno del cuore” poter prendere parte a questa santa liturgia. Scatta in ciascuno il desiderio di ritornare alle sorgenti della propria ordinazione, quindi al “primitivo amore”, che lungo il tempo si è mantenuto e rafforzato, pur accompagnato da provvidenziali cammini di purificazione.
In questo luogo, dove siamo stati unti col santo Crisma, siamo aiutati a ravvivare, di anno in anno, la nostra dedizione a Cristo nel servizio alla Comunità cristiana, a prendere coscienza del proprium della nostra identità presbiterale e diaconale, ma anche a confermare e sviluppare quei vincoli di comunione affettiva ed effettiva che ci lega indissolubilmente insieme tra noi: presbiteri, diaconi, vescovo e con tutti i membri del popolo di Dio, che nella sua interezza gode della dignità sacerdotale, profetica e regale.
Vorrei ora indirizzarmi più direttamente ai sacerdoti, ai diaconi, ai membri della vita consacrata. È una occasione unica e privilegiata per rivolgere a tutti e a ciascuno parole di consolazione e di speranza, frutto della fede in Cristo Gesù vivente tra noi e del suo Spirito, che guida la Chiesa e la conduce dentro la storia sui sentieri del Regno di Dio.
Vi ringrazio, innanzitutto, a nome di Cristo e della Chiesa, per il vostro quotidiano impegno, per le fatiche apostoliche che sostenete e anche per la croce del vostro servizio, che si incarna là dove l’obbedienza vi ha posto.
Mi capita in questo periodo di incontrare sacerdoti, in diocesi o altrove, che mi confidano incertezza e disagio per la stagione storica ed ecclesiale che stiamo attraversando, tentati di cadere nel demone del pessimismo e dello scoraggiamento. Da una parte, preoccupano le conseguenze della pandemia, la guerra in Ucraina e in altri luoghi del mondo, l’emergenza ambientale e climatica, le problematiche economiche, il fenomeno delle migrazioni. Dall’altra, sono evidenti le difficoltà insite nella nostra pastorale ordinaria, prima delle quali la trasmissione della fede, l’emergenza educativa, la crisi della partecipazione alla vita ecclesiale e sociale.
Ci si chiede: come trasmettere la fede alle nuove generazioni con la testimonianza dei genitori? Come possiamo aiutare le nostre Comunità a rigenerarsi e diventare a loro volta generative? Come interpretare l’assenza quasi totale dei giovani alle nostre assemblee liturgiche domenicali?
Il libro sinodale “Testimoni di misericordia”, che è stato diffuso in diocesi, vuole essere uno strumento per aiutarci a incarnare insieme il vangelo della misericordia nell’oggi e dentro il nostro contesto di vita. Riassume un impegno di molti che hanno cercato, attraverso l’esperienza del Sinodo diocesano, di rispondere, con l’aiuto dello Spirito, alla chiamata a presentare al vivo l’immagine stessa di Dio, Trinità misericordia.
È vero, il periodo che attraversiamo è un tempo di crisi, ma non sottovalutiamo che tutte le crisi, anche quelle della Chiesa, sono una opportunità per un nuovo inizio, per cui occorre lasciarsi interrogare e ripartire, accogliendo le sfide del tempo presente. Una certezza consolante ci deve accompagnare costantemente e rassicurare. Cristo risorto è vivo e operante tra noi. Egli ama la sua Chiesa e la tiene saldamente nelle sue mani. Con la forza della sua perenne vitalità, lo Spirito Santo ci sta preparando “non una nuova Chiesa, ma una Chiesa nuova” (Y. Congar).
Constatiamo di non essere più in un regime di cristianità. La fede, in gran parte dell’Occidente, non costituisce più, come un tempo, un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene negata ed emarginata, quando non ridicolizzata. Una grande crisi di fede ha toccato molte persone, causata forse anche dalla nostra ridotta capacità propositiva, spesso incapace di adattarsi al linguaggio comune della gente, di rispondere alle profonde esigenze del momento presente e alle loro domande. Molti hanno abbandonato la Comunità cristiana perché non più interessati alla esperienza comunitaria, cercando altrove proposte di vita, o perché non sufficientemente soddisfatti dalle nostre proposte pastorali, come pure dalla testimonianza di vita che abbiamo saputo offrire.
Constatiamo che, come cristiani, siamo diventati una minoranza, anche nei nostri territori. Lo abbiamo compreso soprattutto nel tempo lungo della pandemia, quando, come segnale eloquente, le chiese sono rimaste vuote, ma già da molto prima era evidente la crisi in atto. È scattata, in qualche zelante profeta di sventura, la tentazione di tornare indietro e di rifarsi a vecchi schemi, di ripiegarsi sul passato, dimenticando le lezioni della storia e i segni dei tempi, senza domandarsi che cosa lo Spirito stia dicendo oggi di nuovo alla Chiesa. Papa Francesco ci ha ripetuto più volte che una Chiesa sinodale è ciò che Dio chiede oggi alla Chiesa, con tutte le implicazioni che ne derivano: un incoraggiamento a camminare, a crescere e a maturare insieme.
Siamo stati inoltre invitati a puntare decisamente sulla missionarietà e sulla ministerialità.
Personalmente, ci siamo resi conto che ci troviamo in un “cambiamento d’epoca“?
Per questo abbiamo bisogno, come sempre è capitato nei tempi di crisi, lungo la storia della Chiesa, di impegnarci per operare una vera riforma, che non proponga soluzioni al ribasso, prive di passione e di libertà pastorale, che non si conformi acriticamente allo spirito del mondo, ma neanche che ignori i segni dei tempi. La preghiera, la Parola di Dio, la celebrazione dell’Eucaristia e dei Sacramenti e l’amore politico, che genera una cultura di vicinanza e di solidarietà, di ospitalità e rispetto reciproco, sono elementi tra loro compatibili e indissolubili nell’intento di “fare di Cristo il cuore del mondo”.
La società di oggi, l’umanità di oggi ci chiama, ci provoca a uscire fuori dalle consolidate abitudini, dagli indiscussi metodi pastorali, dai nostri linguaggi ecclesiali, senza temere il cambiamento e risvegliare così dal suo torpore la stanca cristianità occidentale. Il Cristo risorto viene a noi attraverso la porta chiusa delle nostre paure, si rivela mediante le ferite del nostro mondo, ci interpella e ci scuote con le evidenti urgenze del momento storico che stiamo attraversando.
Il rinnovamento reale della Chiesa non può venire, però, da progetti stabiliti a tavolino, ma presuppone potenti impulsi spirituali, che scaturiscono innanzitutto da una profonda conversione personale e comunitaria, dono dello Spirito, ma anche frutto della nostra libera adesione e audacia, supportata non da un entusiasmo passeggero, ma da un vero dono e frutto dello Spirito Santo, a lungo invocato.
Ci è offerta l’occasione per una ricomposizione della vita spirituale attraverso nuove forme e per nuovi modi di esistere, che non sono più quelli del passato. Non rinchiudiamoci, quindi, in noi stessi, in un vittimismo che blocca creatività e ardore apostolico, approfondiamo piuttosto le riflessioni teologiche, unite, però, al coraggio di sperimentare sul campo, dopo un umile e paziente ascolto e discernimento, nuove forme di vita cristiana.
Non siamo giunti alla fine del cristianesimo, questo però è un tempo per una profonda trasformazione, una nuova fase della sua storia, una occasione che includa anche la dimensione sociale e politica dei cristiani (nel senso più pieno del termine), insieme a una marcata dimensione ecumenica e interreligiosa.
Spesso anche noi possiamo identificarci con i primi discepoli di Gesù sul mare di Tiberiade in tempesta, scossi dalle onde. Avevano creduto di essere abbandonati dal Signore, attirandosi così un severo rimprovero: “uomini di poca fede!”. Come allora, anche oggi, il Signore Gesù vuole risvegliare la nostra fede e avviarci su sentieri che Egli ci dischiude anche attraverso gli eventi storici, se noi troviamo però il coraggio di riconoscerli e l’audacia di compiere il primo passo. Esercitiamo l’arte del discernimento spirituale distinguendo sull’albero della Chiesa i rami che sono vivi e quelli che sono secchi e morti. Cristo crocifisso e risorto ha fiducia in noi anche quando noi non crediamo pienamente in Lui, come se ci avesse abbandonato.
D’altra parte, non mancano nella nostra Chiesa di Como, per iniziativa gratuita da parte del Signore, chiari segni di predilezione, di presenza amorosa, di attenzione speciale, inviti alla fiducia in Lui, vincitore del peccato e della morte. I nostri beati più recenti, suor Maria Laura Mainetti, padre Giuseppe Ambrosoli, la canonizzazione del nostro conterraneo mons. Giovanni Battista Scalabrini, sono una conferma da parte di Dio della sua fedeltà nell’amore.
L’esperienza spirituale ancora in atto nel santuario di Maccio in Villaguardia, dove la santissima Trinità si è rivelata col nome di Misericordia, profeticamente preannunciando il magistero della Chiesa del nostro tempo: il nome di Dio è misericordia (cfr. Francesco, Misericordiae vultus, 2) è un’ulteriore prova della vicinanza di Dio alla nostra Chiesa comense.
Dio ci invita a rimetterlo al centro della nostra vita; quindi, ci richiama alla conversione e alla comune santificazione, a partire da noi sacerdoti. È questo un messaggio che non possiamo sottovalutare, ma che esige una più ampia e convinta adesione. Possa questo santo olio del Crisma, che ci consacra e ci santifica, diffondere il profumo della grazia di Dio per allargare gli spazi interiori del nostro cuore, così che tutti ne possiamo godere e trasmettere con coraggio ai membri del popolo santo di Dio, tanto assetati di verità, di tenerezza e di misericordia.
Oscar card. Cantoni