Amati fratelli e sorelle della Valtellina e della Val Chiavenna:
ringrazio il Signore che oggi mi ha permesso di essere qui, in questa chiesa collegiata, per potervi offrire, come vostro vescovo, un segno concreto di vicinanza, in un tempo particolarmente difficile e sofferto e di portare a tutti voi i frutti della Pasqua del Signore, all’inizio del mese di maggio, tradizionalmente legato alla devozione mariana. Vorrei offrirvi una parola di luce e di speranza, aprire uno spiraglio di luce nel buio del dramma in cui noi siamo tutti coinvolti.
In tutti questi mesi non ho mai smesso di pensarvi, di ricevere notizie su di voi, sulle nostre parrocchie e sui drammatici momenti in cui come società e come singoli ci siamo resi conto della nostra fragilità e debolezza. Ho cercato di raggiungervi mantenendo uno stretto, costante collegamento con i nostri sacerdoti e per mezzo di essi ho inviato a voi l’assicurazione del mio costante ricordo e della mia preghiera.
La comunità cristiana, che ha condiviso le medesime comuni fragilità, si è dimostrata ancora una volta costantemente vicina alla gente, solidale con le loro difficoltà fisiche e spirituali, partecipe delle sofferenze dovute ai numerosi morti a causa del corona virus (140), che non si sono potuti onorare degnamente con momenti liturgici di commiato nel funerale cristiano.
L’assenza dalle chiese del popolo di Dio, con le celebrazioni a porte chiuse, è ciò che ha amareggiato di più i nostri sacerdoti, ma abbiamo ritenuto doveroso attenerci alle prescrizioni delle Autorità civili, nel tentativo di evitare ogni possibilità di contagio.
So che numerose sono le persone coinvolte in questa pandemia: un grande ringraziamento va rivolto a quanti si sono presi cura degli ammalati: dai medici agli infermieri e a tutto il personale ospedaliero, in particolare quello di Sondalo, al Servizio Civile, alle Forze dell’ordine, alla Croce Rossa, ai Sindaci dei diversi comuni, alle Autorità civili, alle tante persone che si sono offerte in opere di volontariato, per venire incontro alle necessità dei degenti in ospedale, delle famiglie in difficoltà, per alleviare la solitudine dei nostri cari anziani, molti dei quali relegati nelle diverse case di riposo del territorio, senza però un contato esterno, con i loro cari.
Assieme ai molti laici defunti delle nostre Comunità abbiamo perso, proprio qui in questa nostra terra, 5 sacerdoti, morti per corona virus. Li voglio ricordare qui con cuore grato, a partire dal nostro vicario generale, don Renato Lanzetti, nativo di Torre Santa Maria, in Val Malenco, don Marco Granoli (del santuario di Tirano), don Carlo Basci, nativo di Torre Santa Maria, don Mario Mauri, già cappellano dell’ospedale di Gravedona, e qualche giorno fa don Alberto Panizza, che ha svolto per 30 anni il suo ministero qui a Sondrio e da 25 anni si trovava a Tirano come collaboratore. Ricordo anche il salesiano don Agostino Sosio, originario di Semogo, che fu incaricato per molti anni dell’Oratorio qui a Sondrio, attualmente parroco a Sesto S. Giovanni (Mi).
Abbiamo pregato per ciascuno di questi nostri fratelli presbiteri, ma in momenti più favorevoli, nei prossimi mesi, avremo modo di celebrare i funerali cristiani.
E’ vero che la carità non si gonfia e agisce con discrezione, senza pubblicità, ma permettete che esprima la mia gratitudine e ammirazione verso i sacerdoti, che hanno liberamente scelto di contribuire a dotare l’ ospedale Morelli di Sondalo di strumenti tecnici per renderlo più efficiente nel sostegno dei malati con il frutto del loro stipendio.
Ho chiesto in più occasioni ai sacerdoti e ai giovani (durante la via crucis del lunedì santo) di condividere come stanno vivendo questo tempo speciale, quali risposte stanno emergendo nella loro coscienza alla luce della fede. Li ho anche invitati a interrogarsi per comprendere cosa vuol dirci il Signore a partire da questa esperienza e anche come possiamo evolvere, prevedendo un prossimo futuro con cambiamenti epocali.
Mi sono giunti anche molti consigli da parte di molti sulla “fase due”, con scelte oculate e prudenti per non compromettere i sacrifici nei quali finora siamo stati coinvolti. Useremo tutte le regole di prudenza e le raccomandazioni consigliate per graduali celebrazioni, non solo per i funerali, ma anche, già nelle prossime settimane, per la S. Messa, di cui i cristiani soffrono per l’attuale mancanza.
Vorrei proporvi ora due osservazioni che scaturiscono con naturalezza dalla parola di Dio che è stata proclamata.
Nella prima lettura, dagli Atti degli Apostoli, viene descritta la conversione alla fede nel Signore crocifisso e risorto da parte di Paolo, un fervoroso credente ebreo, impegnato nel difendere strenuamente la fede dei padri e che in passato aveva giudicato fuorviante il comportamento dei seguaci di Cristo (Atti 9, 1-20).
Saulo di Tarso, è un uomo retto, che ben conosce le Scritture. Illuminato dalla grazia di Dio che lo avvolge di luce, scorge in Cristo che egli perseguita Colui che il suo popolo attendeva e che invece non ha saputo riconoscere, anzi lo ha crocifisso.
Paolo riprenderà le forze sorretto da un fratello della piccola comunità dei cristiani di Damasco, un certo Ananìa, che lo conforta e nel nome di Gesù gli impone le mani perché riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo.
In che cosa consiste dunque la conversione di Paolo?
Nella sua capacità di aderire al nuovo, cioè alla inattesa irruzione di Dio per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo, che gli viene rivelato, senza difendere ostinatamente le sue certezze precedenti. Convinto da questa straordinaria occasione della grazia di Dio, Paolo d’ora in poi si dedicherà con ardore predicando nel mondo intero la salvezza che Dio opera attraverso il Cristo suo figlio.
In che cosa ci è utile questa lettura? Ci stimola a riconoscere ed afferrare la grazia di Dio, che si è manifestata anche dentro questa crisi sanitaria così drammatica e ad evolvere anche noi, come singoli e come comunità cristiana, per aderire al messaggio che Dio oggi ci manda, per diventare migliori e rendere la terra più abitabile e più umana la vita di tutti.
Nasce un tempo nuovo, in cui rimettere al centro Dio e il suo amore per gli uomini, nella certezza che Egli entra nelle nostre prove, le soffre con noi e per noi. Da qui il nostro impegno per imparare con umile coraggio ad andare incontro alle ferite delle singole persone e delle famiglie, molto diverse fra loro.
Vogliamo portare conforto e sollievo a quanti, poveri in umanità, ma bisognosi di amore e di verità, hanno bisogno di sperimentare attraverso la nostra umanità la tenerezza dell’amore trinitario di Dio.
Sarà un mondo forse più povero di cose e di denaro, ma più ricco in autenticità.
La seconda osservazione viene dalla lettura del Vangelo, che è la conclusione del grande discorso di Gesù dopo la moltiplicazione dei pani, nel suo discorso nella sinagoga di Cafarnao, al cap. 6 del Vangelo di Giovanni.
Gesù si presenta come il vero pane che permette ad ogni uomo di giungere alla pienezza di vita. Proprio nutrendosi della Eucaristia, mangiando il suo corpo e bevendo il suo sangue, cibo di vita e farmaco di immortalità, l’uomo è chiamato a una vita senza fine. Diventati un solo corpo, proprio perché mangiamo lo stesso Pane possiamo sognare insieme una umanità responsabile e solidale, chiamati a metterci a servizio di tutti per una vita in pienezza, nel tempo e nell’eternità.