Cari giovani del lunedì santo,
sono lieto di incontrarvi così numerosi questa sera. L’appuntamento annuale della “via crucis” del lunedì santo è entrato nella tradizione giovanile dei comaschi. Così come vescovo ho l’opportunità di incontrarvi, di incoraggiarvi tutti, invitandovi a vivere permanentemente da risorti, alla luce e con la forza di Cristo, crocifisso e risorto per noi.
Non voglio ritornare sui temi del disagio giovanile già noti, opportunamente descritti con molta precisione dai sociologi e dagli psicologi. Conosco bene gli allarmi che essi diffondono per i problemi che affliggono i giovani di oggi.
Voglio tuttavia parlarvi come un padre che ha a cuore i suoi figli, molti dei quali trovo in sofferenza. Episodi di violenza tra minorenni sono all’ordine del giorno sulle nostre piazze. Quindi Il bullismo, il branco, gli alcolici e i super alcolici, la droga, le facili esperienze affettive e sessuali, le famiglie a volte squinternate, le difficoltà della scuola nel trasmettere valori, le strutture parrocchiali spesso vuote, poi i luoghi di detenzione: ambienti tristi e desolati, che lasciano i ragazzi e i giovani senza punti di riferimento, di cui molti di voi notate la mancanza e ne auspicate la creazione.
Alcol, droga e sesso, le varie dipendenze, incluso il telefonino a cui restare permanentemente aggrappati, sono spesso gli unici strumenti che molti di voi usano per coprire e riempire solitudini abissali, disagi interiori, paure inconfessate, incomprensioni subite.
Come pastore di questa Chiesa, provo la stessa compassione di Gesù nei confronti dei poveri e dei piccoli, unita a una profonda tenerezza. Giovani lasciati soli, spesso incompresi dalle loro famiglie, dagli adulti in genere, frustrati nella loro solitudine, incapaci di esprimere i sentimenti profondi dell’anima, senza prospettive serie di lavoro e quindi di futuro.
Capisco, anche se non giustifico, le reazioni improprie di certuni, che vogliono buttar fuori ad ogni costo la loro rabbia, incapaci di reagire ai problemi e alle tensioni soffocate dentro e a lungo. Con nessuno, inoltre, la possibilità di confidarsi o almeno di confrontarsi.
“Provo compassione per questa folla, come pecore senza pastore”. Faccio mia questa espressione di Gesù. Come pastore del gregge di Cristo, oso riprendere ancora un suo invito: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, io vi darò riposo”. Oso ancora affermare che Cristo crocifisso e risorto conosce le povertà e gli aneliti dei giovani di oggi. Egli vuole essere per ciascuno di voi sorgente di vita piena e di speranza.
Il Signore confida in voi e vi chiama con amicizia e fiducia a costruire un mondo nuovo, più umano, più solidale e fraterno attraverso vie evangeliche. Non aspetta che diventiate perfetti. Il Signore ci prende, infatti, così come siamo e ci aiuta pazientemente ad evolvere, con la sua grazia, perché diventiamo ciò che ciascuno è chiamato ad essere.
Oso a questo punto trattare un tema che mi preoccupa e che insieme mi umilia. So che per molti di voi il legame, la fiducia nella Chiesa è spesso un problema. Riconosciamolo con semplicità. Occorre tuttavia imparare a ricuperare le distanze, abbattere i muri di prevenzione, avvicinarsi alla Chiesa non come a una istituzione rigida, ma come una famiglia.
Certo, una famiglia imperfetta, almeno la Chiesa di quaggiù, imperfetta come sono tutte le nostre famiglie, ma luogo in cui circola una linfa vitale, che genera santi, ossia uomini e donne pienamente riusciti, testimoni di una vita buona, di una vita nuova, risorta con Cristo.
La comunità cristiana vorrebbe essere come una famiglia che accoglie tutti, che non fa differenze tra le persone, che non giudica, ma possiede una capacità di riconciliazione e di pacificazione. Mette in grado le persone di ricominciare una vita più bella. Promuove relazioni intense e vere, amicizie che rassicurano, propone uno stile di vita vivibile.
So che molti di voi sono disamorati dalle nostre liturgie, spesso lontane dalla vostra sensibilità e dal vostro linguaggio, senza un vostro personale coinvolgimento.
Io soffro per la estraneità di molti di voi e quando, la domenica, entro nelle chiese per la s. Messa e non vedo giovani, subito, vi confesso, che mi viene una fitta al cuore! E mi domando: siamo noi adulti ancora capaci di trasmettere ai ragazzi e ai giovani la fede, con pieno entusiasmo? Siamo noi pastori così poco attrattivi, da non essere in grado di infondere nei giovani la gioia della fede e il desiderio di seguire Gesù, nostro maestro di vita?
Come fare per aiutare i giovani ad affrontare la sfida della fraternità, sperimentandola fin da subito, mediante la promozione di attività di servizio? Come aiutare le nostre famiglie ad essere una scuola di fraternità, aperta al mondo?
Ecco allora una sfida. Mi domando spesso: cosa viene per prima, cosa privilegiare? “CREDERE PER AMARE o AMARE PER CREDERE?”
Non sono pochi tra voi quelli che incominciando ad amare, a frequentare i poveri, aiutandoli con regolarità, diventando loro amici, cominciando a donare tempo ai più piccoli, a vivere esperienze comunitarie di vita fraterna, sono usciti dai loro ristretti confini personali, per abbracciare i fratelli, per sostenere i più fragili, senza considerarli materiale di scarto, e hanno ricevuto più di quanto essi hanno saputo donare. Hanno scoperto una gioia profondissima che ha cambiato loro la vita e ha rovesciato le loro prospettive.
“I POVERI MI HANNO FATTO CRISTIANO “: è la consolante testimonianza di un giovane che mi ha molto colpito e che continuamente richiamo. Vorrei che anche voi poteste constatare questa bella e dolcissima realtà.
Oscar card. Cantoni – Vescovo di Como