È certo un buon tratto di cammino quello compiuto in 50 anni. E in questo arco di tempo, questo luogo, questa casa del Signore e del suo popolo, ha avuto modo di ospitare tantissimi avvenimenti, dai più quotidiani e di scarsa risonanza – ma non per questo meno importanti – a quelli più significativi per l’intera comunità e talvolta anche per l’intera cittadinanza. Così queste mura, questi arredi, questo luogo, si sono potuti arricchire pian piano di quella familiarità che oggi permette a tutti di sentirsi a casa.
50 anni. Questa ricorrenza è certamente l’occasione per ricordare il passato, rileggere gli avvenimenti accaduti per fare memoria delle persone e dell’azione della grazia che hanno arricchito il percorso di un’intera comunità.
Un po’ come Paolo e Barnaba che, secondo il testo degli Atti degli Apostoli che abbiamo letto, una volta ritornati ad Antiochia, raccontavano “tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro”.
È una dimensione importante. È la possibilità di accorgerci che c’è una storia che ci precede, che c’è una comunità che ci genera, che c’è un dono che ci viene gratuitamente trasmesso. Quanta gratitudine deve elevarsi verso Dio in questo giorno per tutto ciò che lo Spirito Santo ha suscitato in seno alla Chiesa che è in sant’Agata. In fondo, questi 50 anni sono stati gli anni dell’attuazione del Concilio Vaticano II e questo luogo, anche per le scelte architettoniche e liturgiche che lo rendono un esperimento unico nella nostra Diocesi, è profondamente segnato da questo grande evento della vita della Chiesa.
Sono stati anche gli anni della trasformazione sociale della città, anni segnati da sviluppo economico, come anche da crisi e difficoltà: quante preghiere per i bisogni della comunità civile hanno trovato tra queste mura il luogo adatto per salire a Dio! E si potrebbe proseguire a lungo. Forse anche troppo, se ci si addentrasse nelle innumerevoli grazie che qui sono state richieste dalle preghiere umili e silenziose dei fedeli.
Ma se questa ricorrenza fosse solo uno sguardo rivolto al passato per rispolverare il cammino compiuto, si tradirebbe il valore stesso di questo edificio. Questa chiesa non è un monumento, un simulacro che ricorda qualcosa che è accaduto e appartiene al passato. Anche solo la particolare forma dell’aula assembleare ci ricorda che questo edificio esiste e ha un senso solo in relazione al popolo di Dio che ancora oggi si raduna al suo interno. Le stesse linee essenziali degli arredi sacri richiamano l’attenzione verso la comunità che celebra, più che verso il rito che viene celebrato, il quale, senza la comunità, neanche esisterebbe.
Il 50° anniversario è tale perché c’è un oggi vivace e attuale che permette di guardarsi indietro. Chi ha voluto, pensato, progettato e costruito questa chiesa certo la immaginava pensando anche a noi, oggi. E non solo dobbiamo sentirci grati per questo, ma dobbiamo anche interrogarci su quanto siamo rispondenti al sogno di chi ha voluto donarci questa chiesa.
Che comunità cristiana si raduna oggi tra queste mura? “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”, ci ha ricordato il Vangelo di questa domenica. Siamo una comunità capace di far risuonare nella propria vita di singoli e di popolo quella Parola che ogni domenica il Vangelo richiama alla nostra attenzione? Ci raduniamo in questo luogo, “tenda di Dio con gli uomini”, come ci ha richiamato l’Apocalisse, perché questo permetta a Dio di fare nuove tutte le cose? E noi ci lasciamo rinnovare? Ci lasciamo trasformare in strumenti nuovi perché, attraverso di noi, tutte le cose possano diventare nuove?
Scriveva 50 anni fa don Peppino Brusadelli su “L’Ordine”: “Noi plaudiamo alla parrocchia di S. Agata e, sulla sua linea, alle altre parrocchie cittadine che si accingono alle cose nuove: «siano veramente nuove». Non bisogna aver paura del moderno, quando non è puntiglio polemico per partito preso: il cattolicesimo è, a un tempo, fedeltà ad una tradizione vitale e coraggio di progresso giovanile. È da stolti contrapporre il nuovo al vecchio o viceversa: è da saggi far procedere il vecchio verso il nuovo, accettando l’esperienza di tutti e aiutando il desiderio e la speranza delle generazioni nuove. La parrocchia di S. Agata è una famiglia che cresce per volere e per amore di Dio: è famiglia sempre nuova: abbia, dunque, casa nuova”.
Con lo stesso spirito di chi ci ha donato questa “casa nuova”, anche noi dobbiamo oggi sentire questa celebrazione giubilare come uno sprone a chiederci: che Chiesa siamo e che Chiesa vogliamo lasciare in eredità a chi festeggerà i prossimi anniversari?
Dobbiamo essere nuovamente capaci di leggere i segni dei tempi, come ha fatto chi ci ha preceduto, e far camminare la comunità parrocchiale di s.Agata, in comunione con le altre parrocchie cittadine, sui sentieri che le sfide dell’oggi aprono.
Occorre far sì che questo edificio divenga il luogo di partenza per uscire incontro all’uomo e alle sue esigenze di fede e di amore.
Impariamo da questo edificio che Cristo è il centro e il significato della comunione, per poi sforzarci di costruire nuove forme di relazione e collaborazione – come la nuova Comunità Pastorale vi sta educando a fare – per rispondere meglio alla realtà in cui viviamo.
Troviamo il modo di far percepire la Chiesa accogliente come i nostri padri hanno immaginato accogliente questo luogo.
Aderiamo alla provocazione del nostro tempo per diventare “testimoni e annunciatori della misericordia di Dio”, come il Sinodo della nostra Chiesa di Como ci esorta.