Accompagniamo con questa celebrazione liturgica il nostro carissimo don Giampaolo, che torna alla casa del Padre, atteso dagli Angeli e dai Santi, ma anche da una compagnia di tanti sacerdoti che hanno condiviso con lui l’esistenza sacerdotale nel comune impegno di servizio al popolo di Dio, soprattutto nella formazione dei futuri presbiteri, soprattutto i comuni amici, scomparsi da poco, quali don Carlo Porro e prima ancora don Bruno Maggioni e l’arcivescovo Franco Festorazzi. Pensiamo don Giampaolo accolto con gioia anche dai membri della sua famiglia, il papà Luigi e la mamma Rina, e il caro fratello Carlo.
Con don Giampaolo scompare una figura cara a tutto il clero comasco, amatissimo dai seminaristi, per i quali ha dedicato tutte le sue migliori energie. Lo ricordano con simpatia e affetto anche gli amati compaesani menaggini. Appena poteva, ritornava volentieri al suo paese nativo, impegnandosi, fin quando gli è stato possibile, soprattutto nella celebrazione dei divini misteri.
Don Giampaolo, a ben conoscerlo, ( essendo stato io dapprima suo alunno e poi suo collega, come educatore in seminario), ha vissuto una vita esemplare: un credente dal cuore di fanciullo, un umile e sincero pastore d’anime, fedelissimo nelle celebrazioni liturgiche, un attento e profondo docente di diritto canonico, un devoto servitore della Chiesa, fedele all’insegnamento del Magistero, soprattutto del santo pontefice Paolo VI, un amico sincero e fedele di tanti Confratelli, che ricordava sempre con tanta amabilità.
Noi vogliamo ora offrire a Dio Padre di misericordia la sua vita, perché lo accolga nelle sue braccia buone, pregare per lui, ma anche ringraziare e benedire il Signore per il dono fatto alla Chiesa di Como attraverso la sua vita esemplare e il suo lungo ministero: ben sessantadue anni di presbiterato!
Le parole del profeta Isaia, interpretate dalla celebrazione liturgica (Is 25, 6-9), ci sono di grande conforto. Esse ci presentano il passaggio da questa all’altra vita come la partecipazione ad una festa, preparata da Dio stesso per i suoi figli. L’immagine della festa è cara anche a Gesù, che la valorizza nella parabola più bella del Vangelo, quella del Padre misericordioso, che fa festa al figlio che si era allontanato da casa e vi ritorna in condizioni pietose. In un altro contesto, quello del Vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù dice ancora che il Padre, a imitazione del padrone che al suo ritorno troverà ancora vegli, “si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli” : si mette cioè al servizio della felicità dei suoi figli, dopo aver asciugato le loro lacrime e aver sconfitto tutto il loro male.
L’accenno alla sconfitta del male ci richiama alla croce di Cristo. Che cosa mai può separarci dall’amore di Cristo, se lui è morto per noi, quale giudizio potrà condannarci se il Padre ce lo ha donato non perché fossimo condannati, ma salvati? “Io sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenza, né altezza, né profondità, né alcun altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (cfr Rom 8, 31-35.37-39).
Il Vangelo è un invito alla vigilanza, non alla paura, un appello alla vigilanza festosa, all’attesa di un incontro desiderato, che culmina nell’abbraccio della felicità: “Beati loro!”. E’ la gioia dell’umanità di Gesù con il Padre nel momento della risurrezione. Speriamo possa essere anche la nostra gioia nel momento in cui, al chiudersi della nostra vicenda terrena, ci troveremo davanti al Padre e Gesù, il crocifisso risorto, sarà il nostro avvocato. Tutte le strade della vita, tutte le sofferenze, tutte le nostre notti misteriosamente approdano là dove ci attende Cristo, per noi crocifisso, che ci accoglie e ci porta al Padre. Incise nel cuore di Dio si mantengono fisse le parole di Gesù, morente sulla croce: “Padre, perdona loro!” e poi ci sono tutti i nostri nomi: quello di don Giampaolo, il mio, il vostro, il nome di tutti, nessuno escluso.
Ora affidiamo alle mani buone del Padre il nostro don Giampaolo: è suo figlio, discepolo amato da Cristo, da lui chiamato a servire il popolo santo!
Il cero acceso accanto alla bara è simbolo di Cristo risorto, luce del mattino, che sconfigge le tenebre e introduce i figli di Dio nel giorno senza tramonto. Il Vangelo, che sta aperto sulla bara, è segno della fedeltà di Dio alle sue promesse: “Passeranno i cieli e la terra, ma queste parole non passeranno”. La Chiesa poi onora con l’acqua pasquale del Battesimo e profuma di incenso i suoi morti perché crede che un giorno anche i nostri corpi risorgeranno.
Affidiamo don Giampaolo a Gesù, il crocifisso per amore, che lo ha scelto e lo ha chiamato a seguirlo come presbitero. Lo affidiamo alla santa Madre di Gesù, la dolcissima creatura che non abbandona mai i suoi figli per tutti i giorni della loro vita e li attende tutti in cielo, come abbiamo ricordato nella liturgia di ieri. Gli Angeli, i Martiri, santo Stefano, patrono di questa Comunità, i santi Felice e Abbondio, custodi della nostra Chiesa di Como: venitegli incontro! Accompagnatelo al Padre che lo attende.
Caro don Giampaolo: ricordati di tutti noi, di questa santa Chiesa di Como che tanto hai amato e hai onorato con il tuo impegno esemplare di pastore mite e di insegnante rigoroso. Intercedi per la tua Chiesa perché il Signore continui a benedirla con la grazia di vocazioni sacerdotali, di cui ha tanto bisogno.