A pochi giorni di distanza dall’ ingresso nella pienezza della vita di don Silvano De Giobbi, ora è la volta di Ugo, un sacerdote davanti al quale risplendono nella loro verità le parole del Vangelo, appena udite: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Espressioni queste che solo un credente può applicare alla vita ordinaria dei discepoli del Signore e che vede ampiamente realizzate dentro gli anni di sofferenza e di prova di don Ugo.
Infatti, don Ugo, dopo un ministero attivo di alcuni anni, vissuti in alcune parrocchie della Valtellina, (Teglio, Castello dell’Acqua, Cepina, Faedo: dal 64 all’89) a causa di una malattia invalidante, ha trascorso 29 anni del suo ministero in un letto di dolore, o su una carrozzina, presso le care Suore infermiere dell’Addolorata di Valduce, che lo hanno amorosamente accolto e curato fino alla fine e a cui va tutta la nostra gratitudine.
Don Ugo ha realizzato quindi gran parte del suo sacerdozio nella accettazione della propria fragilità e nella preghiera, offerta per tutti. Solo la fede ci porta a confidare che nella dinamica del regno di Dio tutto è grazia, tutto è fecondo e che il Signore trasforma in un oceano di grazia quanto viene deliberatamente offerto. Anche il dolore, se accolto con consapevolezza e accettato nella fede, diventa un potente mezzo di santificazione a vantaggio del mondo intero, della Chiesa, dei fratelli e delle sorelle che hanno bisogno di aiuto, di sostegno, di conforto, di grazia sempre nuova per affrontare le responsabilità proprie.
Suppongo che don Ugo non abbia accettato immediatamente la sua situazione di fragilità, che abbia piuttosto maturato progressivamente, nella calma paziente, la sua condizione precaria, riconoscendo in essa una seconda chiamata, dentro la chiamata alla sequela del Signore. Come se il Signore gli avesse detto, a un certo punto del suo ministero: “Ora seguimi, condividendo la mia croce, prendendo parte con la tua sofferenza all’opera di salvezza del mondo, che si compie per mezzo della mia sofferenza.
Don Ugo, accettando nella fede la sua croce, ha risposto in modo personale alla chiamata particolare del suo Signore, fino a trovare, proprio attraverso la sua sofferenza, la pace interiore e perfino la gioia spirituale. E’ la sensazione che ho sperimentato tutte le volte che lo incontrai nella sua camera del Valduce: un uomo, un prete consolato per essersi identificato con il Cristo crocifisso, non solo, quindi utile agli altri, ma consapevole di adempiere un servizio insostituibile per la salvezza del mondo.
Don Ugo, da buon credente, sapeva che nulla, nemmeno la malattia, la sofferenza e la morte, lo avrebbe mai separato dall’amore di Dio. La sua è stata, quindi, per noi una lezione di vita. Egli è cresciuto in grande umiltà, nella fiducia incondizionata nell’amore del Padre, frutto di un grande abbandono alla volontà di Dio, che trasforma in motivo di gloria ciò che viene offerto per amore.
Caro don Ugo, hai fatto della tua carrozzina e del tuo letto una cattedra da cui hai insegnato ad amare il Signore accogliendolo dentro tutte le prove che Egli ci invia. Ci hai insegnato a partecipare al sacerdozio di Cristo offrendo te stesso in sacrificio di soave odore. Per questo, noi, tuoi confratelli e il popolo santo di Dio, ti rendiamo omaggio, affidandoti nelle sicure mani di Cristo, perché, anche attraverso la nostra preghiera, ti consegni al Padre nostro celeste.