Cari amici nel Signore,
La domenica, Pasqua della settimana, è il giorno in cui il crocifisso Signore, risorto dai morti, raduna il suo popolo per la celebrazione eucaristica, memoriale della sua passione, morte e risurrezione.
Oggi, purtroppo, la celebrazione avviene a porte chiuse, ma si diffonde ovunque da questa nostra Cattedrale fino a raggiungervi nelle singole abitazioni per significare che Dio non abbandona mai il suo popolo e va in cerca di lui, continuamente lo sostiene con la sua Parola e lo nutre con il pane di vita, frutto del sacrificio di Cristo, che oggi possiamo ricevere nella comunione spirituale.
Nulla, quindi, ci può separare dall’amore di Dio, nemmeno le nostre distanze, tanto meno il “corona virus”, che in queste settimane sta segnando la nostra vita, blocca ogni nostro progetto, personale e comunitario, e continua a lasciarci pieni di smarrimento e di paura.
Il giorno del Signore, la domenica, è anche il giorno della comunità cristiana.
La celebrazione eucaristica non è mai un fatto individuale: ci coinvolge tutti, perché nutrendoci del medesimo Pane, ossia il corpo glorioso del Signore risorto, diveniamo una cosa sola, con Lui, ma anche tra di noi.
Una comunione effettiva ed affettiva, così profonda che nulla ci può separare. Una comunione che avvertiamo viva anche in questo momento di precarietà e che stimola a prenderci cura gli uni degli altri e mai ci autorizza a vivere gli uni senza gli altri, e tanto meno, gli uni contro gli altri.
Mi è concessa l’occasione favorevole per entrare, come vostro pastore, nelle vostre case, che dovreste sperimentare, oggi più che mai, quale piccola “chiesa domestica”, dove Dio abita con i suoi figli.
Reco con me la pace e la gioia del Signore risorto, che vi dono in abbondanza, come frutto della sua morte e risurrezione, come anticipo di quella comunione d’amore che ci è promessa e che godremo in pienezza nell’ al di là.
Vi porgo anche il saluto di tutti i sacerdoti delle nostre parrocchie, che oggi celebrano la Eucaristia in forma privata e tuttavia vi sono vicini con vivo affetto nel Signore, in questo momento di crisi.
E’ l’abbraccio santo di tutta la nostra Chiesa, che ha accettato, non senza sofferenza, ma con senso di responsabilità, di non radunare le assemblee eucaristiche domenicali, come ci è stato indicato, per non collaborare alla diffusione in massa del virus, che potrebbe infettare tutta la popolazione.
Non voglio fermarmi alla semplice cronaca di ciò che sta avvenendo, ma invitarvi tutti ad andare oltre, ossia a interpretare nella fede la realtà che viviamo, quel clima di paura e di incertezza che si respira ovunque.
Vi invito, innanzitutto, a vivere la crisi con un sano realismo, ma senza incubi, accettandola non come una semplice perdita (e lo è in tanti settori, a partire dalla economia, ma ancora di più, nelle nostre relazioni interpersonali), come una vera, insperata opportunità.
Ciò che Dio permette ha sempre un valore pedagogico e a noi è richiesta l’intelligenza spirituale per riconoscerlo, l’umiltà per accettarlo e la forza creativa per attuarlo.
La nostra conversione, in questo tempo di Quaresima, consiste proprio nell’ accogliere quello che Dio propone e nell’ aderirvi generosamente, anche se scombina i nostri piani e ci sembra incomprensibile.
Cosa insegna all’umanità questo drammatico evento che è il “corona virus”?
- Innanzitutto che il Signore ci chiama a guardare in alto, cioè a tornare a Lui, con fiducia filiale, per riconoscerci in verità per quello che siamo e valiamo.
Siamo invitati a ricorrere a Dio, creatore e padre, ricco di misericordia, che anche in questa occasione di grande inquietudine, desidera per noi la pienezza della vita.
Siamo figli di Dio, amati e preziosi, ma oggi avvertiamo con maggiore chiarezza di essere creature vulnerabili, tanto deboli e fragili, tentati da facili, allettanti illusioni, veri idoli, come quelli che satana, nel Vangelo di oggi, ha promesso a Gesù, nel tempo del suo deserto. “Tutte queste cose io ti darò, se gettandoti ai miei piedi, mi adorerai”. L’uomo di oggi, anche se è divenuto maggiorenne, non può fare a meno di Dio, perché solo il Signore è la sorgente della vita.
Non possiamo distogliere lo sguardo da Dio per non cadere nella adorazione degli idoli che allettano, ma che poi deludono.
Disinvolti e liberi, ci crediamo talmente onnipotenti da crederci dominatori del mondo, poi, basta un virus per sentirci all’improvviso inconsistenti, privi di risorse e ci abbattiamo facilmente, fino a giungere a prendere le distanze dagli altri, come se fossero pericolosi, disposti perfino a rompere le buone relazioni, che sono, invece, la nostra vera ricchezza, dal momento che l’uomo non è fatto per vivere separato dagli altri, ma per la comunione.
- L’uomo di oggi, poi, fa fatica a ricorrere al Dio della vita attraverso la preghiera, quasi fosse un compito da bambini e non un mezzo comune per ravvivare la comunione filiale con lui. Fare della famiglia la nostra “chiesa domestica”, significa riconoscere che essa è il luogo dove matura la prima esperienza della comunione tra persone, in cui si riflette, per grazia, il mistero della Santa Trinità.
In queste settimane dovrebbe essere più facile vivere insieme il momento della preghiera, nei tempi e nei modi più opportuni, anche tra genitori e figli, magari in compagnia degli amici.
Una famiglia che prega sarà sempre una famiglia unita.
A questo proposito, il Vangelo di oggi ci presenta Gesù, condotto dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni. Egli vive la preghiera in un modo ancora più intenso, così da trarre forza per scegliere ciò che piace a Dio, suo Padre.
Gesù, che conosce bene le Scritture, risponde in modo risoluto a satana, che sottilmente lo tenta e vorrebbe distoglierlo da questo suo raccoglimento, ma Gesù afferma senza esitazione: “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio“.
Non possiamo accontentarci dei beni terreni e delle nostre risorse materiali, come se fossero la sola sicurezza e il nostro orizzonte unico e definitivo. Noi uomini siamo fatti per vivere per sempre nella dignità dei figli di Dio, creati a sua immagine. Con il Battesimo, noi siamo diventati stirpe divina, veri figli del Padre, e di conseguenza chiamati a vivere tra noi libere relazioni fraterne.
3. Non aspettiamoci che Dio intervenga con soluzioni miracolistiche, quasi che non siano necessarie le cure mediche e non più obbligatorie le diverse precauzioni segnalateci. Sottostiamo con docilità alle indicazioni che ci vengono via via indicate. E’ un segno di umiltà, ma anche di alta responsabilità.
Come Gesù nel deserto, non diamo ascolto a satana che, condottolo nella città santa, gli ha proposto di tentare Dio gettandosi giù dal tempio, costringendolo ad intervenire in suo favore attraverso l’invio degli angeli. Gesù, però, prontamente gli ha risposto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”.
Dio ci ama anche in questo tempo, affidandoci, però, alla reciproca solidarietà, perché noi siamo responsabili gli uni degli altri, senza una “caccia all’untore” come si registra in alcuni luoghi!
Dalla esperienza di questi giorni, impariamo anche a esprimere profonda riconoscenza verso chi opera a servizio della collettività: medici, infermieri, ricercatori, forze dell’ordine, autorità civili, che espongono loro stessi al rischio della vita. E soprattutto mostriamo vicinanza, interesse e sostegno solidale nei confronti di quanti hanno bisogno di cure e di attenzione, di quanti sono deboli e indifesi, senza quindi abbandonarli a loro stessi, come se fossero degli estranei.
La nostra fraternità in Cristo fa di noi un popolo solidale, che vince il male con la diffusione del bene e affronta le calamità con la forza dell’amore.