Ancora una volta, con il Natale, facciamo memoria della discesa del Figlio di Dio in mezzo a noi, perché potessimo, a nostra volta, anche noi diventare figli nel Figlio. E intanto ci domandiamo: come trasmettere la gioia del Natale in un ambiente divenuto per lo più pagano, che festeggia sì il Natale, ma si scorda facilmente chi è il Festeggiato? Il Natale, poi, in questi tempi, è vissuto in clima di tensione e di amarezza, unito ad espressioni di rabbia e di difesa ad oltranza dei propri egoismi. Come noi cristiani possiamo essere una presenza alternativa, al di là del comune Natale consumistico, un messaggio tangibile dell’amore tenero e provvidente di Dio per tutti?
Vi invito, innanzitutto, nonostante i numerosi impegni, a trovare il tempo per un a preghiera silenziosa e piana di fiducia a Colui che n on disdegnato di condividere la nostra storia e di vivere in pieno la nostra condizione umana. E’ il nostro modo per prepararci ad andare incontro al Dio che viene, quando Egli si mescola alla natura umana. Non basta, poi, limitarsi a prendere consapevolezza della attuale situazione di precarietà. Occorre decidersi a chiedere al Signore di testimoniare il dono di Dio nell’oggi di questo nostro mondo, che tuttavia Egli non ha cessato di amare, mediante un “supplemento di amore”, compiuto non solo in questo tempo, ma come scelta abituale, a costo anche di qualche sacrificio.
Si tratta di moltiplicare il bene che già compiamo come singoli, come famiglie, come Chiesa, nella semplicità umile e schietta della vita quotidiana, e di estenderlo ulteriormente mediante gesti di carità concreta, così che la nostra presenza generi simpatia, voglia di vivere, rafforzi il senso dell’amicizia e della solidarietà, frutti del Natale del Signore. In questo modo viene spontaneo il desiderio dell’imitazione, ma anche si può contribuire nel ridare la pace del cuore a tanti che l’hanno perduta e sono nell’affanno e nella solitudine più nera.
Possiamo evangelizzare il Natale recuperando quella “cultura del dono” che fa parte delle abitudini più radicare di tutta la nostra società, anche dei non credenti. A partire dal donare non solo oggetti ma soprattutto il nostro tempo, spendendolo non per noi stessi o per le nostre occupazioni immediate, ma per chi ci è vicino e da noi si attende non solo doni materiali, ma molto, molto di più: attenzione, premure e vicinanza. Pensiamo, ad esempio, ai nostri figli, ai quali ci sottraiamo spesso, perché crediamo che altre siano le cose più importanti. Essi hanno ancora bisogno di noi e lo desiderano, anche se lo esprimono in modo estranei alla sensibilità degli adulti. Non dimentichiamo, poi, le persone anziane, che si attendono una nostra visita, ma non solo di fretta, quasi per adempiere un dovere e metterci in pace con la nostra coscienza.
La “cultura del dono” ci può aiutare a ricostruire relazioni interpersonali che lungo il tempo abbiamo lasciato indebolire nei confronti dei nostri amici, ingenerando spesso sconcerto e distanza. Fino ad arrivare a donare a chi non può ricambiare, che in questo modo potrà sperimentare facilmente la gratuità, materia tanto rara al giorno d’oggi. Così i nostri doni, anche se non appariscenti, ma sinceri, diventano riflesso ed espressione del dono di Dio all’umanità. Gesù è infatti il dono più bello e più grande che Dio Padre ha offerto agli uomini e che non cessa di offrire a tutti ancora oggi. A imitazione di Chi è venuto per donarci la sua vita divina, attraverso il dono di noi stessi, anche mediante semplici segni, testimoniamo la pienezza della nostra umanità, redenta e santificata dalla presenza efficace del Signore Gesù.
Oscar Cantoni, vescovo.