“Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce”.
Ben si addice questa frase del profeta Isaia, proclamata in questa notte santa, quale immagine che “mette a fuoco” la situazione in cui tutti ci sentiamo coinvolti in questo periodo. Anche noi camminiamo nelle tenebre, espresse dalle varie forme di povertà, dalle guerre, dalla miseria causate dalle ingiustizie sociali, dalla violenza, a volte, anche solo verbale, per via telematica.
Eppure Dio non ci lascia vagare nel buio delle nostre notti interiori, personali o collettive. Dio non si stanca, viene di nuovo a cercarci. Non permette che vincano le ombre della notte, cioè l’aggressività, il pessimismo, l’orgoglio, la rabbia: le vince e ci mette nelle condizioni di superarle. Attraverso il figlio Gesù, Dio padre viene a liberarci da una vita colma di tensioni, di paure e di peccati, quando la speranza sembra essere soffocata.
Le luci che in questo periodo abbagliano tutta la città non sono che una pregustazione della luce divina che in questa notte santa irrompe nelle tenebre e che vivifica il nostro animo mediante questa celebrazione eucaristica.
E’ la luce splendida del Cristo, luce che illumina il mondo, luce che non si spegne, anche quando verranno meno tutte le altre luci.
La seconda lettura di S. Paolo a Tito annuncia la notizia tanto attesa dall’antico popolo di Dio, che continua a generare stupore e meraviglia.
“È apparsa la bontà di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini”. Dio stesso, nella sua bontà, viene in mezzo a noi attraverso la semplicità e la debolezza del Bambino nato a Betlemme, dalla vergine Maria.
Davanti a un bimbo, nel nostro animo si sciolgono immediatamente tutte le resistenze, la nostra durezza vien meno, per far posto piuttosto a sentimenti di dolcezza e di tenerezza, che sono la vera autentica misura dell’umano.
Come vero uomo, Gesù ci ha mostrato la via dell’amore, cioè il dono di sé, fatto con umiltà, in piena gratuità.
Così noi tutti apprendiamo che dolcezza e tenerezza sono gli strumenti indispensabili per vivere a pieno le nostre relazioni interpersonali, elementi essenziali per una cultura di pace, di accoglienza degli altri, di rispetto, di sostegno reciproco, di promozione di ogni forma di solidarietà. Essa si sviluppa a partire dal nostro rapporto in famiglia, per estendersi poi, progressivamente, negli altri ambienti di vita, professionale e sociale.
Suscita ancora meraviglia l’ascolto del Vangelo in cui viene narrata la natività del Signore. La nuova traduzione esprime più fedelmente il vero significato del canto degli angeli: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore“. È’ il cappello introduttivo a tutta la narrazione, e nello stesso tempo manifesta il significato vero della Incarnazione.
La gloria di Dio sta nel curvarsi sui suoi figli, nel prendersene cura, donando loro la pace, che è il tesoro più grande e prezioso, perché essi, a loro volta, la custodiscano responsabilmente, promuovendo gesti concreti di pace.
La luce di Cristo non fa paura; Dio, innamorato di noi, ci attira con la sua tenerezza, nascendo povero e fragile in mezzo a noi, come uno di noi; viene alla vita per darci la sua vita; viene nel nostro mondo per portarci il suo amore.
Primi destinatari della buona novella, i pastori ricevono il compito di esserne anche messaggeri. Oggi siamo noi i nuovi pastori accorsi a Betlemme, casa del pane. Con Maria e Giuseppe contempliamo Dio che si fa vicino. Poi assumiamo anche noi, con i pastori, la responsabilità e la gioia di far conoscere a tutti il nato Messia.