La giornata del malato che la comunità cristiana ogni anno celebra è un forte appello, un grande stimolo per ciascuno di noi, che ci obbliga a richiamare a noi stessi la centralità della persona, ossia a prendere coscienza della dignità inalienabile di ogni uomo e donna.
Per i cristiani il primato della persona, di ogni persona umana, è dovuto al fatto che Dio è morto per noi tutti, al di là dei nostri meriti, della nostra posizione sociale, delle nostre competenze.
Ogni persona è terra sacra perché visitata da Dio, che ci ama come figli attraverso suo Figlio, Gesù. Che ha dato la vita per noi. E noi diveniamo, a causa di ciò, fratelli e sorelle di ciascuno.
Questa consapevolezza rivoluziona la nostra vita, lo stile del nostro impegno professionale, e ci aiuta a rimettere in seria discussione le nostre priorità.
Ecco allora le domande ineludibili che, presto o tardi, ci poniamo, la cui risposta determina il nostro stile di vita.
Cosa conta nella vita, piuttosto dell’altro serio interrogativo: chi conta nella vita?
Se è importante la corsa al nostro esclusivo benessere, il guadagno, il successo, l’apparire forti, allora agiremo con tutto noi stessi per conquistarci, magari anche con grande affanno, tutti questi beni, di cui non saremo mai sazi e per i quali siamo disposti a sacrificare tempo, energie, spazi liberi, a detrimento delle nostre relazioni, anche quelle familiari. Siamo noi, in questo caso, a servizio esclusivo di noi stessi, facendo dei beni, del successo, delle nostre competenze professionali, il fine della nostra vita.
Se, al contrario, ci sentiamo coinvolti in stretti vincoli di fraternità, allora siamo noi, con la nostra preparazione, a servizio di quanti la Provvidenza ci fa incontrare e in ciascuno di essi riconosceremo il fratello da amare, da soccorrere, da accogliere.
In questo caso, ragione di vita sarà il nostro impegno di servizio, il nostro tempo una occasione per venire in aiuto ai fratelli, considerati non dei casi, non dei numeri, ma delle persone con cui stabilire vincoli di fraternità.
Cambia il nostro rapporto tra noi se consideriamo le persone come esseri in relazione e la nostra competenza darà valore e senso al modo con cui sappiamo rapportarci con le singole persone.
Per voi, operatori al Sant’Anna, la professione medica o infermieristica è il luogo per diventare Santi, la sala operatoria o il letto dei malati diviene l’altare su cui lodare Dio che rende capaci di dono nei confronti di tutti i figli e figlie di Dio, da lui teneramente amati.
Il tempo che Dio ci dona diventa l’opportunità per vivere relazioni profondamente umane, tali da considerare come compiuta e ben realizzata la vostra intera esistenza.
Oscar card. Cantoni