Abbiamo accompagnato lungo le nostre vie il prezioso, taumaturgico Crocifisso, amato e venerato lungo i secoli da tutti gli abitanti della nostra Città: da cristiani praticanti, a quanti non sono più praticanti, o si dicono agnostici, o appartengono ad altre religioni, sotto lo sguardo, spesso attonito, dei numerosi turisti presenti.
Ciascuno di noi ha attribuito certamente un particolare significato a questo evento annuale quale è la “processione del venerdì santo”.
C’è chi lo ha vissuto come semplice momento della tradizione comasca, che si ripete di anno in anno, senza tuttavia ricordare il messaggio particolare che il Crocifisso evoca.
C’è chi ha colto questa occasione per andare più a fondo, ossia si è domandato quanto possa ancora oggi incidere nella vita della città, come nella vita personale, il passaggio del simulacro di Cristo crocifisso.
C’è chi perfino ha riassunto e ricapitolato nel solenne Crocifisso, custodito in questa basilica, i tanti “poveri cristi” che vagano nella nostra città. Questi numerosi “poveri cristi”, nei quali il Signore Gesù si identifica, come ci insegna il Vangelo di Matteo, al cap. XXV, ci richiamano il dovere di far loro spazio, prendendocene cura come comunità e come singoli. L’accoglienza e l’ospitalità sono ancora virtù cristiane!
E’ bello ricordare che tutti noi, innanzitutto, siamo stati visitati al passaggio del Crocifisso. Egli ci è venuto incontro e ci ha sorriso.
Anche ciascuno di noi lo ha guardato, fosse pure solo mediante un semplice, fugace sguardo, puntando gli occhi al suo volto sfigurato.
Fosse pure una semplice, furtiva preghiera, detta in fretta e in segreto, perché nessuno attorno se ne potesse accorgere.
Il Signore non fa distinzione di persone: ama e accetta tutti, credenti e non, a tutti volge il suo sguardo, che non è mai di giudizio, ma di grande compassione e di misericordia, di cui ha tanto bisogno il nostro mondo oggi.
Non è indifferente alle persone perché il Crocifisso Signore non mette ai margini nessuno, così che tutti possono sentirsi oggetto dell’amore di Dio, tanto preziosi al suo cuore, attesi nei tempi e nei modi che solo Lui conosce.
Il Signore sa quando e come ricuperarci al suo amore, così che il nostro cuore si intenerisca, si rinnovi, sappia sciogliere i pesi che ostacolano la crescita della nostra umanità più vera.
Ecco perché, al termine di questa processione, le Autorità Comunali, a nome di tutti, offriranno, come d’abitudine nel giorno della riconoscenza, un cero, in segno di grata memoria per i doni ricevuti dai Comaschi lungo il tempo, soprattutto in quei lontani tempi della guerra 40/45, quando la città di Como, per un intervento miracoloso del Crocifisso, fu (come scrisse l’allora vescovo mons. Macchi),una delle uniche città italiane preservata dai bombardamenti, che altrove hanno provocato numerosi danni e molteplici lutti.
Ricordare con gratitudine e dire “grazie” è espressione che cerchiamo di insegnare ai nostri figli fin dalla tenera età, ma che difficilmente essi tendono ad acquisire in modo permanente.
Anche per noi adulti l’orgoglio di dipendere, la bramosia di fare da soli, il credersi autonomi, bisognosi di nessuno, tanto meno di Dio, è pure una costante che caratterizza la nostra civiltà. Eppure il salmo ci ricorda che “se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i costruttori; se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode” (Sal 127).
Quando estromettiamo Dio dalla società, rischiamo, alla lunga, di costruire una civiltà disumana, che aggiunge ulteriori ferite e sofferenze, nuove divisioni e amare lacrime. Tutto si sgretola e va in rovina.
Ecco perché, come vescovo di questa amata Terra, rilancio un messaggio urgente e inequivocabile: “è ora di tornare a Dio. Egli non è il Dio dei morti, ma dei viventi, essendo l’uomo la gloria della sua creazione”.
Il Crocifisso risorto, che noi vogliamo venerare, mente lo baciamo, è Colui che fa di noi una nuova creatura, che promuove il bene comune, che crea “nuovi cieli e una terra nuova”, frutto della sua risurrezione. Non sia un gesto convenzionale, il nostro, e oserei dire, tanto meno, il bacio di Giuda.