Venerdì 10 marzo in Cattedrale

S. Messa per chiedere il dono della pace

L'omelia del vescovo Oscar card. Cantoni

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Viviamo questa Eucaristia in comunione con tutte le diocesi italiane che pregano per la pace, in special modo per il martoriato popolo ucraino, che soffre tanto. Non dimentichiamo nemmeno i numerosi conflitti bellici, ancora oggi presenti in varie parti del mondo, tentati come siamo di non avvertirli, in quanto considerati un problema che non ci riguarda da vicino.

È un grande momento, questo, in cui insieme supplichiamo lo Spirito Santo con grande intensità e fiducia perché ci doni uno dei suoi frutti, cioè la pace tra le nazioni, una pace giusta, con la fine delle ostilità e delle violenze che invece si moltiplicano.

Preghiamo anche perché il Signore ci metta in pace con noi stessi. Chiediamo uno sguardo pacificato con quelli della nostra famiglia, con i colleghi di lavoro, una attenzione premurosa con quanti vivono nelle nostre Comunità ecclesiali, un rapporto pieno di confidenza e di fiducia nelle nostre stesse relazioni con Dio.

Siamo consapevoli che l’uomo da solo non sa procurarsi la pace, a causa dell’orgoglio, con cui tende piuttosto a inasprire il cuore, così da sentirsi incapace di costruire il bene, che pure desidera ardentemente.

Dio, però, non agisce con un tocco di bacchetta magica. Ci vuole suoi alleati nel costruire artigianalmente la pace a partire dalla nostra preghiera, umile, ardente, e piena di fiducia.

La pace va costruita insieme, certo con l’aiuto e la forza di Dio, ma anche con una scelta positiva da parte nostra, frutto di una sincera conversione. Dio non fa quello che deve fare l’uomo. Nessuno può sottrarsi dalle proprie responsabilità, sia i governanti che più modestamente ciascuno di noi,

Il Signore ci dona la pace nella misura in cui nella preghiera chiediamo saggezza, unita ad audacia, prima di tutto, per i responsabili delle Nazioni, perché si impegnino nel promuovere la giustizia e la dignità dei popoli, più che sentirsi protesi e preoccupati di vincere la guerra.

Invochiamo la pace se, a partire da noi stessi, sappiamo andare al di là della violenza che è in noi, come anche in coloro che nella guerra adoperano le armi. La violenza ci fa sentire forti, protesi con orgoglio nell’attaccare gli altri, o nel difenderci, più che promuovere il dialogo, che ci permetterebbe invece di sentire e valutare anche le ragioni altrui.

La pace ci sarà donata se sapremo rinunciare alla ferocia che è in noi, quella stessa ferocia dimostrata in questo anno di guerra in Ucraina. È la ferocia che ci rende insensibili alle sofferenze degli altri, sottolineando i nostri diritti, più delle profonde ferite che arrechiamo, le cui conseguenze si protrarranno a lungo nel tempo futuro.

Viene a proposito la Parola di Dio, annunciata nella prima lettura, nel libro dell’Esodo, perché ci rimanda al mistero delle difficili relazioni tra fratelli, sempre compromesse. Nella Bibbia vengono ricordate più volte le fatiche di intesa e le lotte fratricide, a partire dalla gelosia di Caino per Abele. Emerge tutta l’amarezza di ogni padre che scopre che i suoi figli non si sentono fratelli tra loro. Sì, anche Dio piange per le barbarie e le lotte fratricide ancora in atto nel nostro mondo!

Il brano di oggi mette a fuoco il rapporto, pieno di conflittualità e di invidia, unita al desiderio di rivalsa, dei figli di Giacobbe nei confronti del loro fratello minore, Giuseppe, il futuro viceré di Egitto.

Questi fanno consiglio tra di loro e tentano di togliergli la vita perché Giuseppe, il figlio amato, non goda più la predilezione del loro padre Giacobbe, per punirlo e umiliarlo a causa dei suoi sogni di grandezza, che lo fanno sentire un privilegiato.

Noi oggi reagiamo prendendo subito le difese di Giuseppe, ma sorvoliamo facilmente le volte in cui abbiamo segretamente disprezzato o ferito, magari anche solo verbalmente, i nostri fratelli, dimentichi dei legami di natura e di grazia a cui siamo tenuti. Per uccidere un uomo non sono necessarie le bombe. A volte basta solo una smorfia!

Cerchiamo di tessere legami di pace solo se sappiamo metterci nei panni degli altri, soprattutto dei poveri, degli sconfitti, delle persone impegnate in prima linea nella guerra, delle famiglie divise, dei profughi indifesi, soffrendo con loro e condividendo le loro privazioni e perfino le loro lacrime.

È solo con questi sentimenti e questi propositi sinceri di vera conversione che acquistano valore le nostre invocazioni presso il Principe della Pace.

Egli, nella sua pietà, non mancherà di esaudirci venendo in nostro soccorso.

Oscar card. Cantoni

10/03/2023
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