Questa celebrazione fa da ponte fra la conclusione dell’ anno e l’apertura di quello che è ormai alle porte. Entrambi sono una ulteriore opportunità che, da una parte, Dio ci ha già offerto, e che dall’altra, mette di nuovo a nostra disposizione, doni di cui occorre essere consapevoli e grati, dal momento che niente è sottratto alla nostra libera iniziativa, essendo noi responsabili dei nostri destini personali e comunitari.
Dio non può volere che il bene dei suoi figli, anche se spesso noi non sappiamo più distinguere ciò che è bene da ciò che è male, ciò che giova da ciò che ci danneggia, perché ci rende meno umani, ciò che è opportuno scegliere per il bene nostro e quello comune, da ciò che invece occorre rifiutare.
Due logiche sono presenti nella storia, radicalmente contrapposte.
La logica divina, che vuole ostinatamente il nostro bene e ci invita a perseguirlo, anche a costo di fatiche. Lo stile di Dio non indietreggia di fronte al male, ma lo trasforma radicalmente e progressivamente in bene.
Al contrario, la logica del maligno, che si camuffa in proposte buone, ma che poi si dimostrano fallaci e illusorie. Una logica che seduce perché si presenta come bene apparente, per poi rivelarsi quale inganno, male che conduce alla sconfitta dell’umanità, che cade nella disperazione e nella solitudine.
A noi la tremenda responsabilità di scegliere la logica più vantaggiosa.
A tutti rivolgo il mio accorato appello, che è anche un cordiale invito: è ora di tornare a Dio!
Questo è il centro del messaggio, il cuore del nostro discorso, la risoluzione vera per una ripresa positiva del nostro vivere insieme, mediante una presenza corresponsabile, tesa a costruire una nuova civiltà, quella dell’amore come amava definirla s.Paolo VI.
Se ci si distacca dalla luce (e DIO è luce incomparabile) rimaniamo nelle tenebre, viviamo al gelo, sperimentiamo una desertificazione spirituale, di cui quella ambientale non è che una pallida immagine, e l’umanità decade, non perché Dio si sia allontanato dalla storia degli uomini, ma perché essi sono del tutto indifferenti a Lui, alla sua Parola di salvezza, al suo figlio Gesù, rivelatore del volto del Padre, all’azione creatrice dello Spirito, che fa nuove tutte le cose.
Il mondo oggi vive in una specie di deserto morale, che si traduce in relazioni interpersonali conflittuali e aride, in un clima di individualismo esasperato, che con la pretesa di difendersi dagli altri, coltivando esclusivamente i propri interessi, non produce che solitudine e vuoto.
Non così Dio ha pensato l’uomo. Gli ha donato il mondo perché lo custodisse e lo coltivasse come un giardino, soprattutto gli ha messo accanto tanti fratelli e sorelle per promuovere e coltivare la fraternità, unica sorgente della gioia e della pace.
La fraternità si fonda sulla responsabilità reciproca e sulla interdipendenza degli esseri umani, il contrario quindi di ogni chiusura e di scelte privatistiche.
A noi il compito di promuovere una fraternità che si sforza di ascoltare tutti, senza prevenzioni, curando il virus dell’autosufficienza.
A noi la responsabilità di concepire una fraternità che sa accettare anche la differenza, non certo come occasione di discordia, ma di arricchimento reciproco e di cooperazione.
A noi la sfida di sviluppare una fraternità di cui il nostro mondo globalizzato ha tanto bisogno, che si manifesta nel prendersi cura dei poveri, dei più vulnerabili, degli scarti della società, al di là della paura dell’altro o dell’estraneo, dell’ ansia di perdere i propri vantaggi, attraverso atteggiamenti di chiusura e di disprezzo di coloro che sono stati costretti all’esilio.
È’ ora di tornare a Dio. Senza di lui si acuisce sempre di più quel clima di rancore e di scontro che attualmente si registra nella nostra società, come viene segnalata anche dalle recenti indagini sociologiche.
Senza il ritorno a Dio continuerà a svilupparsi quel sentimento di diffidenza reciproca, che sfocia nella ricerca esasperata di un capro espiatorio;
senza il ritorno a Dio si manterrà quel senso di indifferenza che smorza ogni tentativo di rinascita, di ripresa, di assunzione di responsabilità mediante una partecipazione alla vita civile, in un sano realismo, senza la pretesa di soluzioni magiche e immediate a problemi complessi.
Senza un clima di fiducia e di cooperazione reciproca sarà difficile che le nuove generazioni si sentano attratte alla passione per il bene comune e concepiscano l’impegno politico come una forma alta ed esigente di carità.
La mancanza di lavoro recide nei giovani la capacità di sognare e di sperare e li priva della possibilità di dare un contributo allo sviluppo della società e di un loro ruolo specifico nella costruzione del bene comune.
Proprio per favorire il ritorno a Dio stiamo costruendo insieme, in questi mesi, il Sinodo diocesano, una strada comune che ci permetterà di trovare le vie più indicate, i linguaggi più opportuni, gli strumenti operativi più adatti perché nella storia di oggi gli uomini e donne possano sperimentare la misericordia di Dio e le trasformazioni che da esse discendono a servizio della comunità ecclesiale e civile.
Abbiamo bisogno di luoghi comuni, tra i quali quelli messi a disposizione dalla comunità cristiana, per un confronto sereno, leale e rispettoso delle diversità di ciascuno, per condividere le scelte prioritarie in vista del bene di tutti.
Se sapremo accoglierci come fratelli saremo in grado di dare e di ricevere contemporaneamente, nella certezza che in tutti c’è una volontà di bene, una ricchezza e una fecondità tale da rendere il nostro vivere la città come luogo veramente abitabile.
Domani si celebra in tutto il mondo la giornata della Pace. Vorrei ricordarvi un passaggio del discorso del Papa proprio per l’evento di quest’anno, là dove egli sottolinea che la pace si manifesta attraverso tre dimensioni indissociabili:
- La pace con se stessi, rifiutando l’intransigenza, la collera e l’impazienza e, come consigliava s. Francesco di Sales, esercitando un po’ di dolcezza verso se stessi, per offrire un po’ di dolcezza agli altri.
- La pace con l’altro, il familiare, l’amico, lo straniero, il povero, il sofferente, osando l’incontro e ascoltando il messaggio che porta con sé.
- La pace con il creato, riscoprendo la grandezza del dono di Dio e la parte di responsabilità che spetta a ciascuno di noi, come abitante del mondo, cittadino e attore dell’avvenire.
Il Bambino, nato a Betlemme, il principe della pace, ci renda partecipe dei doni che Egli porta con sé e li offre a ogni uomo e donna di buona volontà.